di Chris Giles e Miles Johnson

Matteo Salvini ha riacceso la battaglia di Roma contro Bruxelles sui suoi piani di spesa pubblica, e anche se i mercati finanziari sono indifferenti, molti economisti internazionali – pur spesso non amando la sua politica,  ritengono che potrebbe avere ragione.

La Commissione Europea mercoledì ha scritto a Roma per mettere in guardia Salvini dal suo nuovo tentativo di espandere il bilancio italiano, dopo che il vice primo ministro del paese, e leader del partito anti immigrazione Lega, ha invocato uno “shock fiscale” per rilanciare la crescita.

Ma le preoccupazioni della commissione sono basate su “insensatezze” economiche, secondo Robin Brooks, capo economista dell’ortodosso Institute of International Finance,  l’organizzazione che rappresenta le banche più grandi del mondo.

Al centro della disputa c’è il concetto dell’output gap, una misurazione di quanto sia surriscaldata un’economia. Per qualsiasi paese, l’output gap cerca di stimare quanto il livello del Pil effettivo si trovi sopra o sotto il livello massimo potenziale al quale le pressioni inflazionistiche sono stabili. Se la produzione effettiva è sensibilmente sotto il potenziale, ciò implica che il governo avrà più libertà di azione per accrescere la spesa in modo da stimolare l’economia fino a che non si ristabilisce l’equilibrio.

La commissione ha determinato che l’output gap dell’Italia è quasi zero – lo 0,3% del reddito nazionale quest’anno, solo leggermente maggiore della stima dello 0,2% per la Germania. Ciò implica che l’economia italiana non ha spazio per una crescita aggiuntiva,  non più di quanto ne abbia la Germania; pertanto la commissione si oppone ai piani di spesa di Salvini.

La prestazione relativa dell’economia italiana si è fermata – PIL pro capite, indice 100 nel 2000. In blu la Germania, in rosso l’Italia.

 

Tuttavia l’Italia ha una disoccupazione molto più alta rispetto alla Germania, e il PIL pro-capite italiano è sceso del 2,6% dal 2000, mentre quello tedesco è cresciuto del 25%. Brooks ha affermato che queste differenze sono “irragionevolmente dannose” per l’Italia, aggiungendo che “sono assolutamente improbabili se viste in una prospettiva transnazionale”.

“L’argomentazione tecnica della commissione non riesce a catturare appropriatamente il potenziale di crescita dell’Italia poiché ne riflette la scarsa prestazione economica degli ultimi anni, non quel che sarebbe possibile con politiche migliori”, ha detto Brooks.

L’output gap è una costruzione teorica perché il livello potenziale della produzione non può essere stimato con certezza; di conseguenza, tra gli economisti di primo piano sta crescendo la preoccupazione che queste stime tecniche stiano diventando una maledizione.

Un funzionario di alto livello, addetto alle stime economiche in un ente internazionale di primo piano, ha detto al FT che gli output gap sono “molto sensibili” alla rielaborazione dei dati e al livello attuale della prestazione economica.

“Come variabile economica usata per [indirizzare] le politiche, è molto instabile”, ha detto il funzionario.

Olivier Blanchard, ex capo economista del FMI, adesso al Peterson Institute, ha affermato: “Davvero non sappiamo se la disoccupazione italiana può scendere sotto, diciamo, il 6%. Penso che sia possibile, perché quando è successo l’ultima volta, non ci sono state pressioni inflazionistiche, e non vedo ragione perché le cose dovrebbero essere cambiate molto”.

Il pericolo, secondo Adam Tooze della Columbia University, è che “si perseguono obiettivi politici utilizzando i mezzi tecnici dell’economia”, con l’effetto indesiderato di rafforzare le forze populiste in Europa.

“Quale sia la cosa giusta da fare [per l’Italia] è opinabile, ma quel che è certo è che la Commissione Europea non dovrebbe pubblicare insensatezze”, ha detto Tooze.

La Commissione non è d’accordo. I suoi funzionari riconoscono la mancanza di certezza delle loro stime,  ma insistono che il loro lavoro è equo per tutti i paesi. Un funzionario anziano della UE ha affermato che la metodologia è  stata sviluppata nel corso di molti anni dagli stessi stati membri, e che “non è mai un’estrapolazione meccanica di un indice”.

La Commissione pensa che l’output gap italiano sia prossimo alla zero – Differenze tra l’output attuale e potenziale come percentuale del PIL; media di cinque anni.

“Le stesse regole prevedono la necessità di una valutazione complessiva e un certo margine di discrezionalità per consentire un giudizio economico”, ha detto il funzionario. “L’output gap quindi è soltanto una parte del quadro complessivo in base al quale si determinano i requisiti fiscali e tutti i fattori rilevanti devono essere tenuti in conto”.

Ma raramente la commissione ha subito critiche così accese su un indicatore tecnico. La posta in gioco è alta perché la guerra sull’output gap determinerà quanto spazio di manovra avrà il governo populista italiano nei mesi a venire.

Alcuni dei più accaniti sostenitori della linea di Bruxelles vengono proprio dall’Italia. Tommaso Monacelli, dell’Università Bocconi, ha affermato che non c’è nulla di strano nelle stime che suggeriscono che la produzione potenziale dell’Italia non è cambiata nei 20 anni passati.

“Il problema economico dell’Italia riguarda la [bassa] crescita di lungo periodo”, ha detto, aggiungendo che la debolezza deriva da anni di bassi investimenti, scarsa ricerca e sviluppo e adozione di tecnologia. “Non serve a nulla pensare a politiche di espansione fiscale per riavviare l’economia italiana”, ha affermato.

Le ambizioni fiscali di Salvini ricevono il sostegno da parte di alcune aziende. Angelica Donati, dirigente all’interno della società di costruzioni posseduta dalla famiglia, con sede a Roma, accoglie con entusiasmo il tentativo del governo di semplificare le regole sugli investimenti pubblici che “hanno effettivamente paralizzato le attività in tutta Italia”.

Tuttavia, c’è il rischio che l’Italia venga considerata disponibile a tollerare corruzione e decisioni sbagliate in materia di appalti, minando la fiducia dei mercati – un problema potenzialmente significativo, data la necessità di Roma di convincere gli investitori che detengono la montagna del debito pubblico italiano.

  1. Il signor Monacelli prevede che l’espansione fiscale della coalizione di governo porterà dei guai. “L’Italia si sta dirigendo verso una possibile crisi finanziaria”, ha affermato. “La questione chiave non riguarda in realtà i punti decimali dell’output gap italiano, ma molto più radicalmente la credibilità del suo governo”.

Su questo, Blanchard è d’accordo. “Devono essere intelligenti su cosa e come spendere, in modo da evitare che gli investitori abbiano un attacco isterico. In effetti sono tra l’incudine e il martello”, ha affermato.