La battaglia di Himera: 2500 anni fa la Sicilia ‘divenne’ greca

Arte, Cultura & Società

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Nel 2018  a Vancouver un convegno internazionale ha fatto il punto sulla ricerca storica e archeologica. Oggi un volume, pubblicato nel Regno Unito, raccoglie gli atti di quell’evento, che ha fatto segnare un “avanzamento” nel dialogo tra gli studiosi delle guerre di Sicilia e della civiltà del V secolo avanti Cristo

 
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 La battaglia di Himera, incisione di Giuseppe Sciuti

 

 

Una nave in tempesta, carica di cavalli che annegheranno nei flutti del “mare libico”; un generale cartaginese pronto a conquistare la Sicilia e lo stratagemma con cui il suo nemico, un tiranno greco, lo sconfisse; un trattato di pace che Montesquieu avrebbe definito, oltre duemila anni dopo, “il più bello di cui la storia abbia parlato”. Nel 2020 l’emergenza della pandemia ha fatto dimenticare un anniversario importante: la Battaglia di Himera, avvenuta 2500 anni fa nel 480 a.C., il cui esito militare, sociale, culturale e territoriale fu la nascita della Sicilia greca.

La battaglia, secondo Erodoto, si svolse nello stesso anno di Salamina. A innescare la miccia era stato un duro conflitto tra le stesse città dell’isola: fu Terone, tiranno di Agrigento, a fornire a Amilcare motivo di preoccupazione prendendo il comando di Himera e cacciandone il tiranno Terillo, che a sua volta chiamò in aiuto i dirimpettai della Sicilia. “Amilcare …salpò da Cartagine con un esercito di terra non inferiore a trecentomila uomini, e più di duecento navi da guerra, ed inoltre molte navi da carico che trasportavano le vettovaglie, più di tremila”, afferma Diodoro Siculo, storico greco del tempo di Giulio Cesare, raccontando una impresa che si tradusse in disastro militare nell’area di quel che oggi è Termini Imerese, e in particolare, nella pianura di Buonfornello.

“Nell’attraversare il mare libico fu colpito da una tempesta e perse le navi che trasportavano i cavalli e i carri”, prosegue Diodoro Siculo, indicando un punto cruciale nella strategia di entrambi gli schieramenti: la cavalleria. Nell’area dello scontro sono state scoperte 27 sepolture di cavalli. Gli animali furono deposti in semplici fosse scavate nel terreno sabbioso, a una profondità media di 1,5 m dall’antico piano di campagna. Si tratta, spiegano gli archeologi che hanno condotto gli scavi, degli animali della cavalleria di Gelone, tiranno di Siracusa, accorso in aiuto di Terone e, alla fine, trionfante come Temistocle ad Atene. I cavalli furono sepolti nei pressi delle nove grandi fosse comuni in cui sono stati rinvenuti i resti di circa diecimila corpi tra il 2008 e il 2011. Due cavalli conservavano ancora nelle mandibole i morsi ad anello di bronzo.

La sfortuna, dunque, aveva colpito Amilcare, ammette lo storico siceliota, che vuole in ogni caso sottolineare, al tempo stesso, la superiorità greca nella strategia: “Gelone, con la sua superiorità nell’arte del comando e in intelligenza, cercò subito in che modo potesse vincere i barbari con stratagemmi e senza pericolo per i suoi, e distruggerne completamente l’armata”, afferma, illustrando come il tiranno di Siracusa avesse fatto credere ad Amilcare che la cavalleria giunta per distruggere l’armata cartaginese era quella chiesta dal generale all’alleata Selinunte (gli uomini di Gelone avevano catturato un inviato cartaginese e intercettato il messaggio).

“Come spesso accade – spiega all’AGI Stefania De Vido, docente di Storia Greca all’Università Cà Foscari di Venezia e autrice de ‘Le guerre di Sicilia’ per Carocci – le narrazioni della guerra sono il frutto di un portato ideologico enorme e spesso questo portato ideologico è tagliato sulla sensibilità dei vincitori. Nella battaglia di Himera del 480 a.C. una coalizione greca vince i cartaginesi. Uno dei vincitori, Gelone, vi fonda la propria fortuna, perchè fa emergere una sorta di parallelismo: i Greci di Occidente hanno vinto i barbari cartaginesi così come i Greci della Grecia propria hanno vinto i Persiani. Dunque, tutto il mondo greco ha posseduto la virtù e il coraggio per sconfiggere la barbarie. In realtà – prosegue De Vido – le cose andarono diversamente: questo parallelismo, che spinge a far coincidere le date delle giornate delle due battaglie, è infondato. E’ una grande operazione ideologica, ma Gelone utilizza questo strumento per avvalorare il suo ruolo al cospetto della Grecia, dove fece donari (offerte votive) per affermare ‘noi siamo come voi, diamo anche noi un grande contributo alla civiltà greca nei maggiori santuari panellenici'”.

Resta da capire perchè, come si chiese anche lo storico dell’antichità Moses I. Finley, Amilcare sia sbarcato con numeri di truppe così imponenti. “Qualsiasi resoconto di vittoria – afferma De Vido – tende a taroccare i numeri: la vittoria sarà tanto più prestigiosa quando il contingente nemico è enorme. Lo si vede anche nella narrazione delle Guerre persiane: i Greci sono pochi ma valorosi, bravi, coraggiosi mentre i persiani sono numerosi ma disorganizzati e confusi. C’è un’altra spiegazione: alla fine del V secolo anche a Cartagine si svolge un dibattito politico interno. Molti studiosi ipotizzano che Amilcare rappresentasse l’aristocrazia più aggressiva, volenterosa di affermare nella Sicilia occidentale un controllo più solido e stabile. Gli insediamenti fenici già esistevano, ma Amilcare riteneva fosse necessario un presidio militare e organizzato. Questo progetto fallì, ma sarebbe riuscito a partire dall’inizio del IV secolo”.

A Himera – il dato emerge dagli scavi condotti da Stefano Vassallo in quello che oggi è un Parco archeologico, diretto da Francesca Spatafora, che quest’anno ha raccontato la Battaglia in diverse puntate su Facebook – morirono a migliaia, soprattutto giovani tra i 18 e i 32 anni. “Abbiamo scoperto  12.500 sepolture: sono i resti, di quella che è stata definita ‘generazione di Himera’, che giocò un ruolo decisivo nella storia della Sicilia. Vi sono perfino punte di frecce tra quei resti.” “Ogni cultura, ogni contesto – sottolinea De Vido – ha il proprio elemento generativo dal punto di vista dell’immaginario collettivo. Se noi abbiamo come riferimento la Seconda Guerra Mondiale e i nostri figli le Torri gemelle, la Battaglia di Himera rappresentò in quel momento storico un punto di svolta dal punto di vista sia fattuale sia dell’auto percezione nella storia della Sicilia, isola che da quel momento in poi si compatta e si autorappresenta, anche da un punto di vista monumentale, come una realtà culturale, politica e militare di prima grandezza. Si crea un più forte senso di sicilianità, molto diverso dalla Magna Grecia”.

A Himera nasce – come entità politica, sociale e territoriale – la Sicilia greca. A fare il punto su questa e su altre battaglie del tempo nell’isola è stato un convegno tenuto a Vancouver nell’aprile 2018 e i cui atti sono stati pubblicati quest’anno nel Regno Unito da Oxbow Books nel volume “The fight for Greek Sicily – Society, Politics and landscape”, curato dall’archeologa Melanie Jonasch. “La guerra – sottolinea De Vido, che al termine del volume tira le somme degli interventi di studiosi di diverse discipline – è un sensore molto interessante per comprendere le trasformazioni. Essa suscita in noi sentimenti negativi, ma dal punto di vista dello storico la guerra è un motore e, facendo emergere alcune dinamiche, un vettore di trasformazione. Gli storici antichi usano la guerra come occhio privilegiato, ed essa diventa così l’oggetto dell’antichità che conosciamo meglio”.

La vittoria conseguita dai greci a Himera, da questo punto di vista, è “anche una ferita”. Essa, spiega De Vido, determina “un forte cambiamento nel territorio. Gli scavi archeologici hanno suggerito, anzi dimostrato, che a partire dal 475 a. C. i siti indigeni cambiano: alcuni muoiono e altri regrediscono. Cedono il posto a grandi spostamenti di eserciti vincitori e a città vittoriose. Se fino alla fine del VI secolo la Sicilia vede insediamenti di comunità anche piccole e frammentate, dopo Himera si assiste alla crescita di grandi centri egemoni e all’impoverimento di quelli più piccoli, in particolare di quelli indigeni”. “La guerra – aggiunge – determina il cambiamento della popolazione, delle strutture economiche, migrazioni più o meno forzate, la presenza sul territorio di soggetti sociali come i mercenari, che a loro volta causano cambiamenti concreti”.

Nelle guerre per la Sicilia greca diventa visibile e giunge evidente fino a noi il loro ruolo: i due morsi bronzei trovati nelle sepolture di cavalli sono di tipo iberico. “Il mercenariato – spiega De Vido – è uno dei fenomeni più interessanti non solo delle guerre della Sicilia, ma anche della società e della storia dell’isola, poichè questo fenomeno ne attiva altri. Molti di loro non tornano a casa, e si insediano. Platone se ne lamentò affermando che in Sicilia non si parlava più greco: evidentemente le lingue, i culti dei mercenari entrano in Sicilia e si aggiungono a un paesaggio già straordinariamente composito. Non si tratta solo di soldati; adesso diventano componente culturale, linguistica, religiosa, onomastica che permea la Sicilia, un’isola straordinaria”.

Il volume, per il quale è auspicabile la pubblicazione in Italia, porta il lettore “nella carne e nel sangue dell’esperienza della guerra”. “Esso – ribadisce De Vido – mette insieme storici numismatici, archeologi, storici del territorio, topografi, fornendo uno sguardo complessivo e multidisciplinare di fronte a un problema condiviso. Dialogano tra loro studiosi anglofoni, italiani, tedeschi rispetto a uno stesso contesto: siamo di fronte a un vero avanzamento della ricerca”.

Non solo la guerra, da Himera in poi, ha ‘costruito’ la Sicilia greca, ma anche la pace. Affiora “tra leggenda e realtà la prima prova documentale di una difesa istituzionale dell’infanzia”, scrive Stefania Mazzone, docente all’università di Catania di Storia delle dottrine politiche, in ‘Storia mondiale della Sicilia’, edito da Laterza. Se Gelone mostrò moderazione nel trattare i vinti, fu la consorte Damarete, figlia di Terone, a ottenere, secondo la leggenda, la clausola che nel trattato di pace (per il quale esultò l’autore dello “Spirito delle Leggi”, che lo definì “a pro dell’umana generazione”) obbligava i cartaginesi ad abolire i sacrifici umani, in particolare dei fanciulli, offerti agli dei. La vicenda di Damarete, afferma Mazzone, è “un’importante testimonianza non solo della diversa concezione dell’infanzia nello stesso mondo Mediterraneo antico, ma dell’importanza strategica che l’infanzia avrebbe avuto presso le culture più avanzate”.

 

 
 

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