Papa Francesco riforma il sistema penale della Chiesa

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

Di

di Claudio Gentile

È stata presentata oggi alla stampa la Costituzione Apostolica Pascite Gregem Dei, con la quale Papa Francesco ha riformato il libro VI del Codice di Diritto Canonico, contenente il “codice penale” della Chiesa.

Datato 23 maggio, domenica di Pentecoste, le nuove norme, che sostituiscono quelle approvate da Giovanni Paolo II ne 1983, entreranno in vigore il prossimo 8 dicembre e giungono dopo quattordici anni di elaborazione.

Era, infatti dal 2007 che il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, su incarico di Benedetto XVI, si stava occupando della revisione del testo codiciale, coinvolgendo canonisti, conferenze episcopali, ordini religiosi e università di tutto il mondo.

“Per rispondere adeguatamente alle esigenze della Chiesa in tutto il mondo – scrive Francesco nel testo che promulga le nuove norme – appariva evidente la necessità di sottoporre a revisione anche la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di Diritto Canonico, e che occorreva modificarla in modo da permettere ai Pastori di utilizzarla come più agile strumento salvifico e correttivo, da impiegare tempestivamente e con carità pastorale ad evitare più gravi mali e lenire le ferite provocate dall’umana debolezza”.

Il nuovo testo tiene conto dei cambiamenti sociali e delle nuove esigenze del Popolo di Dio e prevede numerose novità: degli 89 canoni che compongono questo Libro VI, ne sono stati modificati 63 (il 71%), spostati altri 9 (10%) mentre ne rimangono immutati solo 17 (19%).

“Il nuovo testo – afferma il Papa – introduce modifiche di vario genere al diritto vigente e sanziona alcune nuove figure delittuose”. È stato anche migliorato “dal punto di vista tecnico, soprattutto per quanto concerne aspetti fondamentali del diritto penale, quali ad esempio il diritto di difesa, la prescrizione dell’azione penale, una più precisa determinazione delle pene”, offrendo “criteri oggettivi nella individuazione della sanzione più appropriata da applicare nel caso concreto”, riducendo la discrezionalità da parte dell’autorità, così da favorire nell’applicazione delle pene l’unità ecclesiale, “specie per delitti che maggiore danno e scandalo provocano nella comunità”.

Tre i criteri direttivi seguiti. “In primo luogo – ha affermato durante la conferenza stampa Mons. Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi -, il testo contiene adesso una adeguata determinatezza delle norme penali che prima non c’era, al fine di conferire un’indicazione precisa e sicura a chi le deve applicare. Per far sì che ci sia anche un impiego uniforme della norma penale in tutta la Chiesa, le nuove norme hanno ridotto l’ambito di discrezionalità lasciato prima all’autorità, senza eliminare del tutto la necessaria discrezionalità richiesta da alcuni tipi di reato particolarmente ampi che esigono volta per volta il discernimento del Pastore. Inoltre, i reati sono ora specificati meglio, distinguendo fattispecie che prima invece erano piuttosto accorpate; le sanzioni sono adesso tassativamente elencate e il testo riporta ovunque parametri di riferimento per guidare le valutazioni di chi deve giudicare le circostanze concrete.

Il secondo criterio che ha presieduto la riforma è la protezione della comunità e l’attenzione per la riparazione dello scandalo e per il risarcimento del danno. Il terzo obiettivo è quello di fornire al Pastore i mezzi necessari per poter prevenire i reati, e poter intervenire per tempo nella correzione di situazioni che potrebbero diventare più gravi, senza rinunciare però alle cautele necessarie per la protezione del presunto reo.

L’intervento normativo ha riordinate le fattispecie penali, sono stati incorporati nel Codice reati tipizzati in questi ultimi anni in leggi speciali e previsti nuovi reati come la corruzione in atti di ufficio, l’amministrazione di sacramenti a soggetti cui è proibito amministrarli; l’occultamento all’autorità legittima di eventuali irregolarità o censure in ordine alla ricezione degli ordini sacri. In modo particolare, sono stati tipizzati reati di tipo patrimoniale commessi per grave colpa o grave negligenza nell’amministrazione.

Ultima novità, il reato di abuso di minori è ora inquadrato non all’interno dei reati contro gli obblighi speciali dei chierici, bensì come reato commesso contro la dignità della persona e la nuova formulazione comprende non più solo le azioni compiute dai chierici, ma anche i reati di questo tipo commessi da religiosi non chierici e da laici che occupano alcuni ruoli nella Chiesa, così come eventuali comportamenti del genere, con persone adulte, ma commessi con violenza o abuso di autorità.

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