In Sudamerica e’ boom di richieste di cittadinanza italiana

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 (300 mila di cui 116 mila solo in Brasile)

DA RIO A BUENOS AIRES, C’E’ VOGLIA DI SCAPPARE A CAUSA DI CRISI ECONOMICA, INSICUREZZA SOCIALE E TENSIONI POLITICHE

Marco Menduni

                                                                       EMIGRAZIONE ITALIANI

Ci sono gli italiani che non hanno mai visto l’ Italia o a malapena ci sono stati una volta in vacanza.

Figli di italiani emigrati, il loro numero cresce sempre di più: sono quasi due milioni (1.888.223 per la precisione) e altre 160 mila pratiche sono in attesa. Ma dietro questo fenomeno se ne nasconde un altro esploso, nel corso dell’ ultimo anno, in maniera dirompente.

È il numero delle richieste per acquisire la cittadinanza come italo-discendente.

Quelli che hanno almeno un avo emigrato all’ estero.

Un tempo venivano chiamati oriundi e hanno fatto la fortuna di un’ epoca del calcio italiano.

Le richieste, ancora inevase, di cittadinanza italiana nel mondo, soprattutto in America Latina, sono 300 mila, 116 mila solo in Brasile.

Ma il dato sorprendente è quello rivelato dal viceministro agli Esteri Mario Giro: «La nostra legge è così ampia e tollerante – spiega – che il numero complessivo delle persone che, potenzialmente, avrebbero diritto a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana è di 80 milioni. Più degli abitanti odierni della Penisola». Ovvio, spiega Giro, che non ci sono solo motivi affettivi in chi sta tentando questa strada, «ma soprattutto il tentativo di garantirsi un passaporto europeo in un momento di difficoltà economiche e tensioni politiche e sociali».

Il boom di richieste di cittadinanza negli ultimi mesi ha un precedente durante la crisi economica argentina del 2001.

Allora, di fronte agli uffici della rappresentanza diplomatica italiana nacque persino una tendopoli.

Se allora erano i soldi, il bene da mettere in salvo, nel Venezuela di oggi è soprattutto la vita.

Pasquale Calligaris, uno dei rappresentanti della comunità italiana in quel Paese, tenta di dare una lettura duplice del fenomeno: «Diverse persone anche di seconda e terza generazione manifestano il desiderio di tornare in Italia: per nostalgia e per paura».

E la paura è preminente.

                                                                                PASSAPORTO ITALIANO

Tentare una analisi («in alcune giornate è anche impossibile aprire gli uffici diplomatici») è difficile.

I dati raccolti da Lorenzo Solinas, primo segretario commerciale dell’ ambasciata italiana a Caracas, spiegano che i residenti italiani e italo-discendenti nel Paese sono 152.405. Il consolato di Maracaibo calcola che dal 2011 siano tornate in Italia 3.326 persone; attualmente gli iscritti sono 29.680. Caracas, che ha in questo momento 122.725 iscritti, ha potuto calcolare che dal 2014 ad oggi 4.539 connazionali hanno abbandonato la circoscrizione, ma non è riuscito a stabilire la loro destinazione.

Dopo una crescita costante sino al picco di iscritti alla fine del 2016 (124.508), alimentato soprattutto dalle nascite di figli di cittadini italiani, matrimoni e dal riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, nei primi mesi del 2017 si è registrata una forte diminuzione della popolazione italiana residente, che è oggi inferiore al dato del 2014. È evidente che ottenere un passaporto italiano non implica automaticamente l’ intenzione di tornare in Italia.

Gli italo-discendenti che provengono dal Venezuela e che sono riusciti ad allontanarsi da un paese nel caos hanno riparato soprattutto a Panama e a Miami. Questo, rivela una fonte degli Esteri, ha già provocato una protesta degli Usa: «Queste persone sono sudamericane ma hanno tutte i documenti italiani, ne state concedendo troppi». E, in un periodo in cui in Italia si dibatte sullo ius soli, introduce delle riflessioni. Come quella di Delfina Licata, responsabile studi e ricerche della Fondazione Migrantes della Cei: «È più italiano chi è nato all’ estero, non parla la nostra lingua, non ha mai visto l’ Italia, o un ragazzo che è nato e ha studiato qui?».

Lo stesso fenomeno si sta duplicando in Brasile. Al consolato italiano di Recife, difficilissimo da raggiungere telefonicamente, una voce anonima conferma: «È vero, siamo sotto grandissima pressione, il numero di richieste continua ad aumentare, un ritmo al quale è difficile star dietro». Una situazione così complessa che ha creato anche, inevitabilmente, gli interessi di personaggi senza scrupoli che tentano di lucrare sulle difficoltà degli uffici diplomatici a dare risposte sollecite. Così in Brasile si è moltiplicato il numero di agenzie specializzate di dubbia credibilità che, a pagamento, offrivano servizi con la promessa di accelerare i tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana ius sanguinis.

Il nostro governo è intervenuto, procedendo «a smentire pubblicamente tali agenzie e richiedendo la rimozione degli annunci ingannevoli» . Per non parlare delle mire della criminalità organizzata: in Italia, nello scorso maggio, la polizia ha arrestato sette persone tra Floridia e Augusta nel Siracusano. Lavoravano per faccendieri brasiliani e, dai Comuni siciliani, riuscivano a far ottenere in breve tempo la documentazione. Spiega ancora Giro: «La legge spagnola, ad esempio, è più severa e limita fino al nonno la possibilità di ottenere la cittadinanza di quel Paese. La nostra legge sullo ius sanguinis, invece, non pone alcun limite».

Conclusione: basta avere un avo emigrato all’ estero, che sia un bisnonno, un trisavolo, ma anche di grado superiore, per poter avviare le pratiche.

                                                                                 VALIGIA DELL EMIGRANTE

«Se io, nato in Sudamerica, avessi un parente emigrato in Argentina o in Brasile nel 1861, potrei chiedere la cittadinanza». Evidentemente, bisogna provarlo.

Bisogna consegnare ai consolati una documentazione idonea a stabilire che c’ è una discendenza diretta da quella persona, nei fatti un albero genealogico confortato dai documenti, e indicare esattamente da quale Comune d’ Italia era partito. L’ istruttoria non è breve e spesso s’ inceppa non tanto all’ estero, ma nei municipi italiani. Quanto può durare questo iter? Oggi molto, moltissimo. Anche dieci anni.

Perché le risposte dei Comuni spesso arrivano con grandissimo ritardo, ma anche perché le esigenze di bilancio hanno tagliato grande parte del personale delle ambasciate e soprattutto dei consolati italiani all’ estero. Un’ attesa che, per chi ha fatto la richiesta, può comunque valere la pena.

Fonte: qui

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