Oggi, in varie regioni russe si terranno le elezioni governative – che sono essenzialmente non competitive – e, con la partecipazione di candidati indipendenti, ci saranno anche quelle comunali a Mosca – non dimentichiamo che quelle della capitale riguardano anche diversi livelli di governo.

L’occasione ci dà l’opportunità di fare una riflessione su una controversia che oggi è molto in voga in Russia: chi nutre il desiderio di rilanciare le istituzioni dello stato, tra cui le elezioni, e chi invece considera questo obiettivo a dir poco utopico.

Se un alieno dovesse chiedere una breve descrizione del sistema politico russo, certamente si sentirebbe rispondere: “guarda, ci sono leggi e regole, feste e organizzazioni, una procedura elettorale e i media… c’è tutto e di tutto”. Potrebbe anche sentirsi dire che i partiti si possono registrare solo in base a determinate regole, che barriere specifiche impediscono a chiunque di partecipare alle elezioni e che mille altre cose fanno funzionare il moderno sistema politico russo nel “particolare modo in cui procede adesso”.

Tra la prima e la seconda cognizione c’è una sostanziale differenza.
Secondo il primo intendimento, per esempio, il leader del Partito Democratico Liberale, Vladimir Zhirinovsky, e il leader del Partito Comunista, Gennady Zyuganov, possono essere descritti come membri della “opposizione politica”; nel secondo caso invece, facendo parte dello stabilimento stesso, sono quindi “l’opposizione”. Termini quali le “elezioni” e i “partiti politici” similmente necessitano delle virgolette.
Al primo livello, non c’è spazio per i principi: tutto è accettato a valore nominale; nel secondo, l’intera discussione è limitata esclusivamente sui principi e sullo sforzo di capire come stanno realmente le cose.

Nella vita reale tra i due non esiste una chiara distinzione; ma è importante capire che una tale differenza esiste, e infatti c’è.
A parte chi conosce poco di Russia, dobbiamo sapere che anche molti russi credono alla prima versione – vale a dire che prendono rigorosamente a valore nominale tutto ciò che vedono. Quando un sistema esiste da lunga data, lo scorrere del tempo lo fa sembrare normale. La gente si stanca di sperare che alla fine si avverino i desideri o che tutto arrivi ad un livello migliore. La vita è troppo breve per questi sogni. Le alternative s’asciugano, le virgolette vengono cancellate e il concetto vuoto è visto come valido, vero.

A partire dalle guerre nei paesi limitrofi, le informazioni sui mezzi di comunicazione e dei media, o come gestire le prigioni fino alle elezioni, per l’attuale leadership russa rendere il bizzarro come normale è la sua primaria strategia.
Per essere onesti, ci sono anche alcune cose buone che stanno diventando “il nuovo normale”: ci sono iniziative per rilasciare più in fretta i documenti e promesse che ci saranno strade più grandi e con meno buche; e una manciata di candidati indipendenti sono persino sono stati ammessi a partecipare alle elezioni comunali.

In ogni caso comunque, la strategia principale è ancora quella di “normalizzare” le cose più terribili. Se le elezioni vengono eviscerate in anticipo, possono essere tenute in stretta conformità con la legge. Non sorprende quindi, che le autorità si siano concentrate sulla legittimità di ciò che passano come le “elezioni” di settembre, anziché sulla loro legittimità basata sull’atteggiamento degli elettori o sulla concorrenza politica.

Questo è il piano di Putin, perché “la legalità” è uno dei suoi concetti preferiti. Ma ciò che conta per lui, non è cosa contiene il concetto, ma la strategia. Quello che conta è che il popolo russo non veda mai cos c’è “dietro la tenda” e non capisca quanto sia debole e artificiale tutta la struttura politica. La strategia è di rendere uno spettacolo il fatto di seguire le regole, di tenere le elezioni in modo “corretto” che, se qualche “canaglia” avesse il coraggio di contestare, i leader possono sempre onestamente sostenere: “Noi osserviamo la legge!”.

Tuttavia, lo stato di diritto non è, e non diventerà mai una realtà, perché i potenti considerano l’attuale sistema un’utopia legale. Lo stesso Stato e i suoi alti funzionari spesso non rispettano le loro leggi, ma solo le scrivono e le impongono per beccare i loro nemici in atti non conformi ai loro dictat.
L’esempio più recente è il caso del direttore artistico Kirill Serebrennikov. A livello superficiale si tratta di attuare la legge; ma se andiamo in profondità scopriamo che è un atto di repressione: serve a ricordare che il doppio strato si estende oltre la politica, alle imprese strategiche, ai media, al teatro e…

Molte persone vedono solo una parte del sistema: lo spazio russo dei media è fortemente distorto, ma non è un sistema completamente chiuso. Circa il 60% dei muscoviti e il 30% nel resto del paese usano regolarmente delle fonti di informazione alternative: questo serve ad evidenziare le particolarità della costruzione politica russa.
Naturalmente, ci sono molte persone giovani, ingenue e altrimenti occupate che prendono la realtà politica a valore nominale. Tuttavia, molti capiscono che le istituzioni statali e le elezioni, apertamente sconvolgenti, non sono altro che decorazioni già decise, sono senza sostanza.

Lo Stato, e in particolare uno Stato autoritario, è paragonabile ad una banca: nel momento in cui i cittadini-depositanti perdono la fede, ritirano i loro valori. Finora, i russi non sono ancora corsi in banca: continuano a sostenere il vuoto delle istituzioni nella speranza che alla fine diventino vitali e si sveglino dal letargo.
E, mentre i russi nutrono speranza che la prima e la seconda interpretazione si possano gradualmente fondere, rimangono in attesa che un qualcosa riporti in vita le loro zombie istituzioni; che l’inizio parta con le elezioni di Mosca?

Questa è la domanda. E, nonostante la natura illusoria di tali speranze e dei dubbi circa il qualcosa che porti ad un cambiamento, il punto di vista trionfa con la semplice forza del numero di persone che effettivamente credono.
Qualunque sia l’esito delle odierne elezioni, un dato di fatto è che il sistema politico non competitivo russo basa la sua esistenza più sulla fiducia dei suoi cittadini che sui furti dei suoi architetti, o sulla forza di coloro che lo custodiscono.