Catalogna, l’indipendenza è già realtà: Barcellona non rispetta più le leggi di Madrid

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Il governo catalano va avanti con il referendum del 1 ottobre anche dopo la bocciatura della Corte Costituzionale spagnola. Il premier Rajoy nelle ultime 48 ore ha spedito a Barcellona oltre 800 uomini della Guardia civil, pronto a usare la forza

L’ultimo a prendere la parola è stato Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks: «il primo ottobre in Europa nascerà una nuova nazione o sarà guerra civile», ha scritto su Twitter. L’attivista australiano aveva già avuto un’accesa discussione con il famoso scrittore Arturo Pérez-Reverte, sul “diritto all’autodeterminazione” dei catalani, postando la famosa foto dello studente davanti al carro armato in piazza Tiananman.

D’altronde il clima sembra quasi da primavera araba. Niente armi (fortunatamente) ma bandiere (spagnola, europea, francese) e foto (del re Felipe IV o del premier Mariano Rajoy) bruciate in strada al grido di “disobbedienza”, nel giorno della Diada, la festa catalana. Barcellona lunedì ha fatto sentire la sua voce. L’ultima, dicono, da “suddita” di Madrid.

Alla prossima Diada la Catalogna, a detta degli indipendentisti, sarà già uno “Stato in forma di Repubblica”. Le virgolette sono d’uopo, perché la dicitura è quella che i catalani troveranno sulla scheda elettorale che, come suggerisce la Generalitat, dovranno probabilmente stamparsi a casa. In clandestinità. Almeno per chi potrà votare.

Dipende dai seggi disponibili: alcuni comuni hanno comunicato al Parlament la disponibilità ad aprire i propri locali, altri invece non sono disposti a farlo (come la Barcellona di Ada Colau). In rischio c’è il posto degli statali, che potrebbero rispondere all’accusa d’insubordinazione. Senza contare che non si è stabilito nemmeno un quorum (si vince o si perde con un solo voto).

Poi ci sono i Mossos d’Esquadra. La polizia catalana, simpatizzante indipendentista, è convocata d’urgenza dalla Procura: l’ordine è quello di perquisire e sequestrare tutte le urne. Il referendum del primo ottobre è illegale e non si farà, dicono dal ministero degli Interni. I deputati catalani sventolano tra i corridoi denunce e ricorsi, soddisfatti di far lavorare così tanto la giustizia spagnola. Il governatore Carles Puigdemont va perfino oltre: «Nessun tribunale dello Stato può rimuovermi dalla carica, solo il mio governo ha il potere di farlo».

Con una suspance da serie degna di Netflix, Madrid e Barcellona tornano a farsi la guerraLa Corte Costituzionale ieri ha bocciato la “Ley de Transitoriedad Jurídica y Fundacional de la República”, una legge dal titolo roboante che dovrebbe regolare il passaggio di poteri e la transizione dell’ordinamento giuridico della Catalogna in caso di vittoria del sì al referendum per l’indipendenza.

Senza dibattito né ascolto (ai deputati dell’opposizione è tolta la parola), e nonostante una pletora di giuristi del Parlament, a mo’ di spoiler, avesse avvisato dell’incostituzionalità, «Puidgemont – denuncia Joan Coscubiela portavoce di Catalunya si que es pot (la lista sottomarca di Podemos) – ha deciso di porsi al di sopra della legge».

Eppure qualcosa di grave c’è. O è già accaduto. L’atteggiamento di Barcellona si è fatto ostile e nessuno pare aver voglia di rispettare più le leggi dello Stato. La Generalitat fa disobbedienza attiva, si autodisciplina, autodetermina, autogiudica

Il discorso alla Camera ha lasciato tutti basiti, soprattutto i colleghi di scranno da sempre a favore del referendum. “Non possiamo rispondere con un atto antidemocratico. Hanno negato i diritti ai deputati. In merito al diritto della minoranza, il Parlament ha varcato il Rubicone”, dice. La posizione fa scalpore: Coscubiela, ex sindacalista, ecologista di sinistra, con un passato da prigioniero politico, non è certo affine al governo popolare di Madrid. Per alcuni oggi è un traditore, l’eroe della democrazia per altri.

Eppure qualcosa di grave c’è. O è già accaduto. L’atteggiamento di Barcellona si è fatto ostile e nessuno pare aver voglia di rispettare più le leggi dello Stato. La Generalitat fa disobbedienza attiva, si autodisciplina, autodetermina, autogiudica. La norma e lo stesso referendum, già bocciati dalla Corte, per Madrid costituiscono la “più grande minaccia e il più grande affronto” alle regole su cui si basa la convivenza in Spagna dal 1978 e il “più grande attacco concepibile” ai valori democratici.

Tant’è. Il premier Rajoy, con una politica finora silente quanto inutile, nelle ultime 48 ore ha spedito a Barcellona oltre 800 uomini della Guardia civil. L’idea è quella di procedere, se messo alle strette, con l’articolo 155 della Costituzione che autorizza il governo, se una comunità autonoma non rispetta le regole, ad “adottare le misure necessarie” per obbligare la regione a compiere i propri doveri e “proteggere l’interesse generale”.

Che cosa significhi, con esattezza, nessuno lo sa. Mai successo. I migliori costituzionalisti, come novelli Azzeccacarbugli, dicono che la questione non può essere risolta in tribunale ma in parlamento. È un cane che si morde la coda.

Tra unionisti ed indipendentisti, meglio ricordarlo, ci sono anche ‘gli altri’. Quei catalani che stranamente si sentono anche spagnoli. Proprio loro (56%), secondo un sondaggio condotto da Metroscopia per il quotidiano El Pais, considerano questo referendum illegale. La stessa percentuale vuole un cambio di rotta della politica della Generalitat e preferisce una via di negoziazione, simile a quella avvenuta tra il governo centrale e i nazionalisti baschi.

Resta da capire chi è in grado di portare il governatore e il premier a sedersi attorno ad un tavolo, da qui al primo ottobre. Ci stanno provando i socialisti di Pedro Sánchez che optano per una Spagna federale. Podemos è spaccato in due sulla questione mentre il PP resta arrocato alla posizione di Stato unico e indivisibile. Al momento non resta altro che un referendum in stile Ikea, come lo definisce Albert Rivera, segretario di Ciudadanos: urne e schede smontabili, nel caso arrivasse la polizia nazionale a controllare. Sperando non capiti l’irrimediabile.

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