Dalla piattaforma alternativa off-Guardian pubblichiamo un articolo che mostra l’immancabile reazione orwelliana dei governi agli attacchi terroristici: deriva autoritaria con limitazione delle libertà individuali. I governi approfittano di queste crisi per rendere illegali la diffusione o persino il possesso di video ritenuti “sconvenienti”, così come la pubblicazione di testi ritenuti “riprovevoli”. La censura colpisce sempre gli individui e le voci alternative – mai i giganti mainstream, neanche quando questi hanno diffuso i contenuti incriminati. Le grandi piattaforme si schierano velocemente dalla parte del potente di turno, e continuano ad agire indisturbate.

Di Kit Knightly

Non importa quale sia l’origine della violenza, non importa quali ne siano le motivazioni, le vittime o il luogo, sembra che la reazione dei governi al “terrorismo” sia praticamente sempre la stessa – restringere con forza i diritti individuali.

Questa grande tradizione risale indietro per centinaia di anni, dal giro di vite di Giacomo I d’Inghilterra contro i cattolici dopo la Congiura delle Polveri, passando per quell’atto dispotico che è il Patrioct Act, approvato in meno di sei settimane dopo l’11 settembre. Solo lo scorso anno, gab.com è stata notoriamente messa sotto tiro in maniera pesante sulla scia dei (falsi) attentati “Magabomber” (un nostro articolo prevedeva che altre purghe erano all’orizzonte).

Il percorso è stabilito: lo Stato utilizzerà sempre – SEMPRE – una crisi, vera o fittizia, per aumentare il proprio potere. La maggior parte delle volte questo avviene a discapito della libertà individuale.

La sparatoria della moschea di Christchurch non fa certo eccezione alla regola. La polizia neozelandese sta attualmente minacciando dieci anni di carcere per la condivisione di filmati in live-streaming dell’evento, e altre pene sono previste anche solo per il possesso di una copia delle registrazioni. Come riporta RT [grassetto nostro]:

Le riprese video della sparatoria di venerdì dell’assassino Brenton Tarrant alla moschea di Christchurch – che ha fatto 50 vittime tra i fedeli – sono state rimosse da Facebook immediatamente dopo il massacro. Mentre in seguito i filmati proliferavano su varie piattaforme, le autorità neozelandesi hanno già incriminato un diciottenne per avere condiviso il video, oltre che per avere postato altri commenti “riprovevoli” nei giorni prima della sparatoria.

Il teenager rischia fino a dieci anni di carcere, secondo la legge neozelandese sui “materiali riprovevoli e vietati”. La polizia nel frattempo ha emesso un’aperta diffida nei confronti di chiunque altro stia cercando il video.

Questa repressione è, in breve, folle. Non si possono accusare le persone perché sono in possesso della copia di un video che è stato trasmesso in tempo reale su internet a milioni di persone, e di sicuro non si può rendere illegale perfino guardare quel video (inoltre, come popolo, dobbiamo resistere con forza all’idea che essere “riprovevoli” possa mai essere considerato un crimine. È una pazzia).

Nel 2014 la polizia metropolitana suggerì la stessa cosa a proposito del video dell’ISIS in cui James Foley veniva apparentemente decapitato (circostanza respinta come ridicola da un avvocato in questo articolo).

(NOTA: il motivo per cui alcuni video violenti vengano considerati “criminali” perfino da guardare e altri no, è una questione interessante. Si tratta solo di mania di controllo? O di qualcosa di più sinistro?)

Naturalmente, è impossibile che una sparatoria negli USA non provochi un coro indignato di persone che inveiscono contro il secondo emendamento, che chiedono che il governo prenda il drastico provvedimento di proibire il possesso privato di armi da fuoco (la cosa è in qualche modo meno pressante sotto Trump, perché nemmeno l’establishment liberal può seriamente allo stesso tempo da un lato sostenere che Trump è un fascista e dall’altro insistere nel togliere le armi ai civili. Tuttavia, fanno del loro meglio).

La Nuova Zelanda sta già “inasprendo” la sua legge sul possesso delle armi.

Ma la Nuova Zelanda si sta anche spingendo oltre – blocca i siti e i servizi che non hanno letteralmente alcuna connessione col video: sono soltanto eterodossi.

8chan è il sito dove il presunto killer ha fatto il suo “annuncio”, ma 4chan non era coinvolto. Entrambi sono stati messi fuori legge sia in Australia sia in Nuova Zelanda. Altri siti alternativi di video come LiveLeak e BitChute sono stati entrambi bloccati, nonostante nessuno dei due abbia ospitato il video. LiveLeak ha perfino rilasciato una dichiarazione dicendo che si rifiutava di pubblicarlo. Anche Dissenters, piattaforma di discussione di Gab, è stato bloccato. Non hanno alcuna connessione con l’uomo arrestato né con il crimine.

Perfino ZeroHedge apparentemente è bloccato – il loro crimine? Riportare estratti dal “manifesto” del killer.

Naturalmente, molti hanno riportato alcune brevi parti del documento. Nessuna delle piattaforme mainstream è stata bloccata. Facebook ha trasmesso il video in tempo reale – Facebook non è stato bloccato. Queste “repressioni” su internet non danneggiano mai i giganti di internet – si rivolgono solamente contro i piccoli.

Questo ricalca esattamente quanto avvenuto nel caso dello scorso anno della sparatoria di “Magabomber” alla sinagoga – dove il presunto bombarolo aveva un account Twitter e il tiratore un account Gab – ma solo Gab è stato messo fuori uso e bloccato.

Non conosciamo tutti gli elementi dell’attacco terroristico – se si trattava veramente di un pazzo solitario, o di un altro esempio di terrorismo di stato – ancora non c’è modo di sapere esattamente cos’è successo. Ma qualunque cosa sarà, non si può assolutamente negare che il governo neozelandese sta già usando quanto avvenuto come pretesto per andare oltre e mettere a tacere il dissenso e la libertà di parola su internet.

Questa faccenda si diffonderà. Il Parlamento e il Congresso e tutti richiederanno “un’azione” da parte dei giganti di internet, e Google darà un’altra aggiustata ai suoi algoritmi, in modo da portare ancora più in evidenza i media mainstream e mettere in ombra le alternative. Facebook e Twitter applicheranno sempre più lo “shadowban” (azione per cui un utente è bloccato senza che gli venga notificato, NdVdE) o la messa in quarantena di pagine – erigendo ostacoli che impediscano alle informazioni di arrivare nei posti sbagliati.

L’”hate speech” diventerà un “crimine” punibile con il divieto di accesso a internet o con multe di enormi somme di denaro… e l’esatta definizione legale di questo “hate speech” resterà confusa e vaga. Cambierà per adeguarsi ai bisogni del governo.

Verrà un giorno in cui perfino articoli come questo, che commentano l’atteggiamento sempre più autoritario dei governi occidentali, saranno ritenuti inaccettabili e rimossi perché “alimentano il dissenso” o “promuovono teorie complottistiche”.

Aumentare la consapevolezza e incoraggiare la protesta sono gli unici modi per evitare che ciò accada.