Perché non va sottovalutato il gesto di Salvini

Quello “Scusi, lei spaccia?” ricorda certe parentesi buie nella storia d’Italia e d’Europa

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Martin Niemoller è stato un teologo e pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo. Inizialmente simpatizzante del partito guidato da Adolf Hitler, espresse successivamente la sua contrarietà al percorso intrapreso dallo stesso: a causa di ciò fu anche fatto prigioniero per otto anni.

È diventato famoso per la sua poesia “Prima vennero”, monito straordinario ancor’oggi, sul pericolo dell’apatia di fronte alla genesi dei regimi totalitari.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali e ne fui sollevato, perché mi risultavano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti e non dissi nulla, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me e non era rimasto nessuno a protestare”.

Non suoni esagerato o fuori tempo questo accostamento tra il periodo delle perquisizioni ad opera della Gestapo, polizia nazista, e l’evento di Bologna dell’altra sera, che ha visto protagonista Matteo Salvini, del quale ancora fatica a spegnersi l’eco. Assieme ad un nutrito gruppo di persone, il segretario leghista è andato a suonare al citofono della casa di una famiglia tunisina chiedendo se corrispondesse al vero la notizia che loro spacciassero.

Ogni volta il segretario della Lega sposta un po’ più in là l’asticella della umana decenza. Il rischio che si corre e che va scongiurato in tutti i modi è quello di assuefarsi alle sue trovate, tanto ormai c’è da aspettarsi qualsiasi cosa da lui. Sarebbe questo un errore imperdonabile.

Partiamo dall’inizio.

È normale che, in un paese civile, un politico, nonché ex ministro dell’Interno, ossia il massimo responsabile della nostra sicurezza, raccolga eventuali notizie di reato da persone comuni, incontrate per strada, senza previa comunicazione all’autorità giudiziaria?

È normale che nella carovana al suo seguito nessuno abbia avvertito l’esigenza o almeno la sensibilità di far notare che non era quella una condotta da tenere?

È normale che un privato cittadino si sostituisca all’autorità giudiziaria nell’accertamento di eventuali reati, commettendone a sua volta?

È normale che la ragione che ha spinto a segnalare come spacciatore il ragazzo tunisino risieda unicamente nel suo modo di vestire, definito “troppo per un tunisino”?

È normale che vengano minati i rapporti diplomatici tra Italia e Tunisia per un simile gesto?

La risposta, non nostra, ma di tutti, dev’essere “No”: un no secco e senza tentennamenti da parte di chiunque.

Bene ha fatto Marco Minniti, ministro dell’Interno prima del leader del Carroccio, nel suo intervento a Tagadà, a ricordare come, «in pochi secondi, Salvini ha messo in discussione due capisaldi della democrazia! Il primo è il principio di garanzia: un cittadino deve avere la garanzia di potere tutelare la propria innocenza e la propria vita. Affidarsi a ciò che viene detto nel quartiere ricorda certi totalitarismi, sia di destra che di sinistra, nei quali c’erano le soffiate sul vicino che non mi era troppo simpatico. A quel punto il “tribunale del popolo” o le SS passavano… Il secondo è la separazione dei poteri: Salvini è un senatore, non può compiere operazioni che spettano al potere giudiziario (ossia alla magistratura, n.d.r.)

L’ulteriore gravità del gesto è data dal fatto che il responsabile di tale azione non può assolutamente essere qualcuno che è stato ministro dell’Interno, men che meno scortato da poliziotti: sono due poteri distinti e distinti devono restare!» conclude l’ex ministro democratico.

Più lapidaria, invece, la replica di Franco Gabrielli che, oltre a condannare il gesto di Salvini, ci ha tenuto anche a difendere l’operato degli agenti di polizia: «Stigmatizzo sia quelli che fanno giustizia porta a porta sia quelli che accusano la Polizia in maniera indiscriminata!».

Non va, infine, sottovaluto l’effetto emulativo che un gesto simile potrebbe scatenare. È notizia di stamattina un accaduto con dei tratti macabri. A Mondovì, Piemonte, in provincia di Cuneo, un ragazzo, figlio di deportata, ha visto la porta di casa sua deturpata da un messaggio nazista: “Qui c’è un ebreo”.

Non vogliamo unirci al coro di chi invoca il ritorno del fascismo a ogni piè sospinto, ma è assolutamente fuor di ogni ragionevole dubbio che la situazione si stia facendo sempre più grave. A tutti: politici, media, comuni cittadini, il compito di promuovere un modo diverso di fare politica e di comunicare, scegliendone uno meno incline a questi gesti sconsiderati.

C’è un limite alla propaganda e c’è un limite al cinismo: non può essere accettato che per un pugno di voti in più valga tutto; meno che mai che valga rispolverare certe pratiche che, certamente, non hanno dato lustro all’Italia e all’Europa.

Vito Longo

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