Il sistema giustizia, così com’è e come funziona, non è funzionale alla migliore tutela dei diritti dei cittadini.

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Raffaele Vairo

La seduta del Senato per discutere e decidere sulle mozioni di sfiducia nei confronti del Ministro della giustizia Bonafede, presentate dalla Destra e dalla Bonino, si è risolta con un nulla di fatto. La discussione che, specialmente sul piano personale, ha assunto toni anche offensivi, è stata priva di un qualche contenuto che meritasse l’attenzione dei cittadini. Le accuse erano diverse e opposte. La mozione della Destra conteneva accuse di inadeguatezza del Ministro nell’affrontare i problemi delle carceri e la direzione del DAP, mentre quella della Bonino si caratterizzava sulla presunta ideologia dei Pentastellati secondo la quale la giustizia debba muoversi partendo dalla presunzione di colpevolezza, l’esatto contrario del principio costituzionale della presunzione d’innocenza (art. 27, comma 2, Costituzione).

In particolare, abbiamo appreso, ed è un’assoluta novità, che la Lega avrebbe posto fine al Governo Conte 1 (Governo giallo-verde) per le presunte omissioni del Ministro della Giustizia che caratterizzerebbero ancora oggi il suo operato. Ovviamente le omissioni sarebbero la mancata riforma del processo penale e l’omesso intervento in ordine al sovraffollamento delle carceri. All’osservazione che si tratta di problemi datati che neanche il Governo Berlusconi, del quale faceva parte importante la Lega, ha mai affrontato e risolto, la senatrice Bongiorno ha replicato ammettendo che si tratta di un problema vecchio ma non risolto dal Governo in carica, “ma lei ha commesso l’ennesima omissione: non ha fatto nulla per porvi rimedio”. Inoltre, la Bongiorno gli contestava (a) la tardiva chiusura dei tribunali (“un fatto gravissimo”) (b) la sospensione  e la liberazione di pericolosi boss. Insomma accuse prive di consistenza, non degne di una senatrice famosa in tutta Italia per le sue indiscusse capacità professionali.

E, tuttavia, i problemi della giustizia sono tanti e ad oggi irrisolti. Carlo Nordio, già procuratore aggiunto presso la Procura di Venezia, va da tempo sostenendo che non si può porre rimedio alla insostenibile durata del processo penale creando nuovi reati e inasprendo le sanzioni, ma ponendo mano alla riforma del codice penale riducendo i reati e attenuando le pene: “occorrono pochi reati e pene anche più basse, ma certe”. Secondo l’illustre procuratore emerito i progetti messi in campo dall’attuale Guardasigilli non rispettano due principi costituzionali: la presunzione di innocenza e la ragionevole durata dei processi e, anzi, la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado rischia di rendere il processo un insopportabile fardello che le parti coinvolte, l’imputato e la vittima del reato, subiscono quale pena aggiuntiva: “l’imputato, e la vittima del reato, devono solo sperare in un evento futuro e incerto, cioè il giudizio definitivo, che senza lo stimolo della prescrizione sarà sempre più lontano”. Quali i rimedi? Un’ampia e condivisa riforma del sistema penale di cui, secondo il magistrato, nei progetti di Bonafede, non vi sarebbe traccia.

A complicare la discussione sulla riforma del processo penale giungono notizie di magistrati coinvolti in vicende che, ove definitivamente confermate, getterebbero fango addosso alla magistratura che, nella stragrande maggioranza, svolge il suo ruolo nella massima correttezza e trasparenza. Le vicende cui qui si fa riferimento sono quelle che riguardano Palamara e il Procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, sottoposto ai domiciliari per fatti che, se accertati e confermati, risulterebbero di inaudita gravità. Secondo l’accusa, l’alto magistrato (Capristo) avrebbe fatto pressioni su un sostituto procuratore perché truccasse indagini per mettere nei guai persone innocenti. Con ciò venendo meno alla funzione giurisdizionale che, invece, mira alla ricerca della verità e alla conferma della norma (iurisdictio) che si presume violata. Tanto che Piero Sansonetti, direttore IL RIFORMISTA, traendo ispirazione dalla vecchia Tangentopoli, ha parlato di Magistropoli, giungendo ad affermare : “La magistratura si è mostrata finalmente al pubblico per quel che realmente è: il luogo di esercizio di uno straordinario potere, politico – e persino fisico – sulla società italiana, che però pretende invece di essere un luogo di moralità e di etica pubblica. Cos’è in realtà la magistratura in un’enclave intoccabile, che impone le sue leggi a se stessa, che lottizza, che patteggia, che commercia favori, posti, Procure e naturalmente molto potere”. Cosa si può obiettare a questo giudizio? Solo che, mentre i magistrati colpevoli di malefatte, vengono indagati, processati e condannati, i politici nella maggior parte dei casi la fanno franca perché coperti dall’istituto dell’autorizzazione a procedere. Resta, comunque, la necessità di riformare il sistema giudiziario sia in riferimento al reclutamento del personale sia agli strumenti utilizzati nelle procedure. Tenendo presente che il sistema giustizia non è prerogativa di un partito politico ma di tutto il popolo. La qual cosa richiede il coinvolgimento di tutte le forze politiche. Alla coalizione di maggioranza spetta il dovere di farsi promotrice di una conferenza di tutti i partiti di maggioranza e di minoranza per studiare la situazione della giustizia in Italia e di predisporre progetti di riforma che prevedano da subito la depenalizzazione di quei reati ritenuti bagatellari e la costituzione di una commissione di esperti, di veri esperti, che predisponga un progetto di riforma nel rispetto dei principi indicati dalla politica. La prescrizione, che è motivo di dissenso tra tutti i partiti, non può essere riformata che in un disegno organico che preveda organigrammi non solo dei magistrati ma anche del personale amministrativo, senza del quale i tribunali andrebbero in tilt. Insomma, non si può riformare l’istituto della prescrizione senza una radicale riforma del processo.

Ad ultimum, mi siano consentite alcune valutazioni circa quello che è successo a Montecitorio giovedì 21 maggio 2020. L’on. Riccardo Ricciardi, deputato 5 Stelle, ha forse ecceduto nei toni e il suo intervento è avvenuto nel momento sbagliato. Forse su come la Regione Lombardia ha affrontato l’emergenza pandemica le critiche dell’onorevole sono state inopportune, considerato che in momenti come questi occorre una certa concordia tra maggioranza e opposizione. Ma, lasciatemelo dire, nella sostanza è stata una critica circa gli errori commessi dai dirigenti politici regionali della Lombardia e in ordine alla costruzione dell’ospedale in fiera.  Checchè se ne dica, il modello lombardo della sanità, eccellente nell’ordinaria amministrazione, ha rivelato i suoi limiti nell’emergenza provocata dal coronavirus. Sarà, comunque, la magistratura ad accertare se si sia trattato di errori inevitabili o dovuti a negligenza o a motivi diversi.

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