I 55 giorni di attesa a Mazara del Vallo per i motopesca sequestrati dalla Libia

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L’accusa principale contestata ai 18 pescatori è di aver pescato in una zona che la Libia ritene di propria competenza ma che sono ‘contese’. Al centro di tutto c’è la cosiddetta “Guerra del Pesce”, una battaglia da decenni in corso nel Mediterraneo, per la pesca del pregiato gambero rosso

 

AGI – Da 55 giorni Mazara del Vallo è una città in attesa. Nella zona del porto l’atmosfera è sospesa dalla sera del primo settembre, quando le autorità libiche hanno sequestrato i due motopesca Antartide e Medinea con 18 membri degli equipaggi tuttora ‘in stato di fermo’ in Libia. Da oltre un mese e mezzo i familiari hanno perso ogni contatto con loro.

“Ci sentiamo un po abbandonati, c’è fiducia nelle istituzioni, ma finora non abbiamo visto niente si concreto”, dice Anna Giacalone, la madre di uno dei pescatori, che dalla sera del sequestro, assieme agli altri familiari, attende invano ogni sviluppo. In più occasioni la Farnesina ha garantito che sono ‘in buone condizioni di salute’, ma in effetti non è mai stato possibile per la famiglie stabilire un canale di comunicazione. Secondo fonti non confermate dal Ministero, lo scorso 20 ottobre sarebbe dovuto iniziare il processo a loro carico, che invece pare non aver avuto luogo.

Il sequestro è avvenuto all’indomani di un viaggio istituzionale del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, atterrato in Libia per suggellare l’accordo tra il premier libico, Fayez al Serraj, riconosciuto dall’Onu, e il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, per tagliare fuori Haftar. Uno ‘sgarbo diplomatico’, nell’ottica delle milizie dell’Lna (Lybian national army) fedeli al generale della Cineraica.

Tra i 18 pescatori (otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi) oltre agli equipaggi dei due motopesca, gli uomini di Haftar hanno prelevato anche il comandante del peschereccio ‘Anna Madre’ di Mazara del Vallo e il primo ufficiale del ‘Natalinò di Pozzallo, che la sera dell’accerchiamento erano riusciti ad invertire la rotta durante il negoziato con le milizie. Un gruppo di familiari, con gli armatori dei due motopesca, da settimane ormai presidia la piazza davanti Palazzo Montecitorio, nel tentativo di alimentare l’interesse e la pressione nei confronti del Governo.

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Altri di loro invece hanno occupato ‘pacificamente’ l’aula consiliare del comune di Mazara del Vallo, con il sostegno dell’amministrazione comunale e della Curia locale. Sin dalla sera del sequestro la diplomazia italiana sta monitorando il caso e la settimana appena conclusa sembrava poter essere quella giusta per la liberazione.

Una speranza alimentata dalle parole di sostegno espresse da Papa Francesco nell’Angelus di domenica scorsa e dall’incontro ravvicinato tra i familiari e il Pontefice di mercoledì. Tutti loro da un mese e mezzo non hanno smesso di chiedere informazioni al Ministero degli Esteri, ma neppure dai vari incontri avvenuti nella capitale sono emersi particolari sviluppi.

“Noi da qui non ci muoviamo, restiamo piazzati perché da qui nessuno può far finta di non vederci e rendersi conto di quello che sta accadendo a dei padri di famiglia che erano usciti semplicemente per andarsi a guadagnare il pane”, dice Leonardo Gancitano, armatore dell’Antartide, uno dei due pescherecci sequestrati.

Alcune settimane fa una loro delegazione era stata ricevuta a Palazzo Chigi, che ha garantito sulle condizioni di salute dei 18 pescatori e su una conclusione dell’intera vicenda. Nel frattempo però tutto tace. “Un giorno, di sabato mattina, mentre eravamo a piazza San Pietro, abbiamo ricevuto una chiamata dalla Farnesina, in cui ci hanno convocati per fare una videochiamata con i pescatori in Libia”, racconta Marco Marrone, armatore del peschereccio Medinea.

“Siamo andati lì, ma la chiamata non riusciva a partire perché, ci dicevano, c’erano problemi di connessione – aggiunge Marrone – e poi dopo alcune ore ci hanno detto che non avrebbero tentato ulteriormente per difficoltà tecniche”. In queste settimane a Mazara del Vallo un altro gruppo di familiari è sceso in piazza, in una manifestazione poco partecipata dai mazaresi. “A casa siamo disperati, non era mai successa una cosa del genere e noi non eravamo pronti, ci sono alcuni di loro che hanno problemi di salute, hanno bisogno di medicine”, dice Farhed di origini tunisine, figlio di uno dei 18 pescatori bloccati in Libia.

Ma la Farnesina precisa che “le autorità libiche stanno garantendo la somministrazione dei medicinali”. Nella piazza centrale della cittadina, striscioni e t-shirt in cui campeggia lo slogan ‘Liberate i pescatori di Mazara del Vallò. “è come un blackout che prosegue da 53 giorni e basta pensare che durante la quarantena, durata 69 giorni, le persone comuni stavano impazzendo”, dice all’AGI Marika Calandrino, moglie di Giacomo Giacalone, il comandante dell’Anna Madre. “Siamo disperati e io ho davvero paura che qualcuno possa perdere la testa – aggiunge – ci continuano a dire che stanno bene, ma noi siamo preoccupati anche per la tenuta psicologica”. 

Tra le accuse contestate ai 18 pescatori c’è anche il ‘traffico di droga’. L’ipotesi non rientra tra le imputazioni per cui potrebbero essere processati in Libia, ma è emersa durante l’unico contatto intercorso nel corso di queste settimane tra il capitano del Medinea, Piero Marrone e alcuni dei familiari presenti sulla banchina del porto di Mazara del Vallo.

La telefonata, partita dal carcere i El Kuefia, a 15 km da Bengasi, risale al 16 settembre. “Ci accusano che hanno trovato droga a bordo”, si sente dalla registrazione della conversazione. “È chiaro che vogliono alzare l’asticella”, aveva risposto l’armatore del Medinea, Marco Marrone. In effetti i pescherecci sono rimasti incustoditi sin dai primi giorni e la contestazione sarebbe saltata fuori soltanto durante gli ulteriori accertamenti.

Alcuni giorni dopo l’AGI ha pubblicato in esclusiva delle foto scattate dalle autorità libiche con dieci involucri di colore giallo, disposti su due file a terra davanti a una nave che ha il nome “Medinea”, lo stesso di quella sequestrata dai libici di Bengasi. Un’altra foto colloca alcuni involucri – dieci anche questi, probabilmente gli stessi – all’interno della nave, e sullo sfondo le cassette per contenere il pesce.

“Ci vogliono incastrare, non so di cos’altro ci vorranno accusare, mio padre è uscito per andare a guadagnare un pezzo di pane per permettermi di studiare e adesso si deve vedere accusato di traffico di droga, ci sentiamo davvero presi in giro”. Non sarebbe la prima volta. Nel 2012 le autorità libiche sequestrarono tre pescherecci di Mazara del Vallo, ‘Boccià, ‘Maestrale’ e ‘Sirrato’, denunciando giorni dopo il rinvenimento di alcune anfore antiche. In quel caso servì l’intervento di Sebastiano Tusa, all’epoca soprintendente del Mare della Regione Siciliana, che smontò le accuse con una perizia.

La vicenda dei 18 pescatori ha coinvolto anche l’intera comunità religiosa di Mazara del Vallo, giungendo fino a Papa Francesco. Storicamente sono i marittimi a portare in processione la statua di ‘San Vitò, il santo patrono della città, alimentando un legame consolidato nelle tradizioni marinare. Nessuno si aspettava però che a dar speranza ai familiari dei pescatori bloccati in Libia, fosse Papa Francesco durante l’Angelus di domenica scorsa.

“Le parole del papa sono state un balsamo per il cuore, siamo molto fiduciosi che questa sia la settimana giusta”, commentò all’Agi Marco Marrone, l’armatore del Medinea, che da settimane è in presidio permanente davanti palazzo Montecitorio. “Tra di noi – aggiunse – ci sono anche dei familiari di fede musulmana che hanno apprezzato tantissimo le parole del Papa”. Tutti loro hanno seguito in streaming l’angelus di Papa Francesco e mercoledì hanno incontrato il Pontefice in Vaticano.

Venerdì scorso la Curia di Mazara del Vallo ha organizzato una veglia di preghiera nella parrocchia di San Lorenzo, in uno dei quartieri ‘marinarì in cui abitano alcuni dei familiari dei 18 pescatori. Alla celebrazione oltre al vescovo, monsignor Domenico Mogavero, che aveva già partecipato alle iniziative dei familiari, ha preso parte anche l’imam della moschea di Mazara del Vallo, Ahmed Tharwa. “Bisogna dare atto al Governo che sta impiegando le sue risorse migliori per venire a capo della complessa vicenda politico-diplomatica, anche se ci rendiamo conto che questo sforzo da solo non basta”, ha detto il vescovo Mogavero.

La veglia è stata pensata “come un atto di fratellanza che in se congiunge la prigione di El Kuefia, dove sono detenuti i nostri 18 marittimi, e la piazza di Roma, dove sono alcuni dei loro familiari – ha continuato durante il suo intervento – per sollecitare la ricerca con ogni mezzo idoneo a sbloccare la trattativa e riavere liberi i propri cari, a tutti loro va il nostro abbraccio affettuoso”.

“Questo momento rappresenta per noi raccogliere l’invito fatto dal Santo Padre durante la preghiera dell’Angelus, un momento per riflettere, pregare e rinvigorire la nostra speranza, unendo la Libia, Roma e Mazara del Vallo”, ha aggiunto riferendosi all’appello lanciato domenica scorsa da Papa Francesco, che mercoledì ha incontrato in Vaticano i familiari dei 18 pescatori.

“Troppi giorni sono ormai trascorsi da quell’infausto primo settembre senza che un volto o una voce abbia potuto dare un riscontro diretto all’ansia di madri, mogli, fratelli, sorelle figli e amici – ha continuato il vescovo di Mazara del Vallo -, in verità non sono mancate rassicurazioni ufficiali e autorevoli ma queste non hanno sciolto i dubbi che il cuore non riesce a dissipare quando non si hanno le evidenze di cui si ha bisogno”. 

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