di Stefania Romito
A partire dal romanzo “La Romana”, Moravia sposta la problematica della normalità dall’interno della società borghese, come nel caso de “Gli indifferenti”, all’intera società umana e a tutte le sue classi.
Nel romanzo “Il disprezzo” Emilia prende a disprezzare improvvisamente il marito, sceneggiatore cinematografico di cui era innamoratissima. Il marito cerca di scoprire la ragione del suo atteggiamento e crede di trovarla sulla base di un’interpretazione psicoanalitica dell’Odissea che gli fornisce un amico regista in base alla quale Ulisse e Penelope rappresenterebbero due aspetti contrapposti. Penelope, nobilmente virtuosa, si contrapporrebbe all’intelligenza a volte cinica di Ulisse.Quando Ulisse torna, il prezzo per riconquistare l’amore di Penelope è che mandi via i Proci compiendo un massacro bestiale.
Lo stesso era avvenuto nel rapporto tra il protagonista del romanzo e la moglie. Di fronte alla corte che il produttore aveva fatto a sua moglie Emilia, non aveva reagito violentemente, bensì si era comportato da uomo civile, tanto da far sorgere il sospetto che il suo fosse un atteggiamento “di comodo”. La sua mancata reazione aveva fatto insorgere in Emilia un forte disprezzo.
In questo romanzo la normalità viene a coincidere con la inciviltà e la barbarie, ma ad essa si contrappone per la prima volta il protagonista con la sua coscienza civile non uscendone sconfitto, tuttavia il fatto che a un mondo di valori si possa aspirare senza essere riassorbiti dal suo contrario o senza giungere al suicidio, è già una novità nella ideologia moraviana. Un ulteriore passo avanti sarà compiuto con “La ciociara”.
Questo romanzo non solo rappresenta il momento più avanzato della ideologia moraviana, ma ci offre la chiave per comprendere gli aspetti negativi e quelli positivi di tutta la sua arte. Viene narrata la storia di una bottegaia romana e di sua figlia Rosetta, entrambe sfollate durante l’ultimo periodo della guerra. Matura in loro una nuova consapevolezza attraverso i quotidiani discorsi con Michele, giovane intellettuale antifascista. Le due donne si imbattono in un reparto di marocchini che abusa di loro. Il trauma dello stupro spingerà Rosetta a perdere ogni pudore e a darsi a tutti gli uomini che incontra. Si è già visto in precedenza come si era sviluppata in Moravia la dialettica fra normalità e anormalità. La normalità, rifiutata perché falsa nella sua misura borghese ne “Gli indifferenti”, diviene oggetto di attrazione e di ripugnanza ne “La Romana” e diviene aspirazione a un mondo superiore ne “Il disprezzo”.
Ne “La ciociara” la normalità coincide con un modo di vivere civile, quello del mondo in pace. L’anormalità è la guerra, è la condizione umana durante i nove mesi di occupazione tedesca in questa dimensione storica reale. I due termini acquistano il significato di un’autentica contrapposizione di valori. L’aspirazione alla normalità fa venire in primo piano quanto di meglio c’è nel cuore degli uomini. La condizione della guerra scatena, al contrario, gli istinti bestiali non più controllati. Fa trionfare la violenza, il furto, lo stupro. Ne consegue un equilibrio e un’organicità che nessun’altra opera di Moravia aveva saputo raggiungere. Il personaggio principale, la madre, rappresenta l’italiano medio, il popolano con i suoi pregi e i suoi limiti. Michele è l’intellettuale antifascista che sottopone i suoi interessi e le sue tendenze personali a imperativi ideali. È un utopista, un asceta, l’unico eroe positivo di tutta la narrativa moraviana. L’ambiente è corrotto e disgregato. Però tale disgregazione corrisponde a una esperienza storica reale. Il degradarsi della società non è guardato con compiacenza e partecipazione bensì con una sensazione di disgusto. Con questo romanzo le posizioni ideologiche iniziali di Moravia sono completamente capovolte. Ciò indica che il nostro scrittore non è rimasto fermo ad alcune intuizioni iniziali e si è mosso sotto la spinta di una dinamica interna.
Al centro dell’opera moraviana vi è il problema della normalità, quel tessuto di credenze, di usanze, di abitudini, di gusti, aderendo al quale un individuo si trova partecipe di una vita collettiva e si sente in contatto con una realtà. Tale normalità si presenta come equivoca, ipocrita e ripugnante nella sua dimensione borghese. Acquista, invece, il fascino del primitivo e del selvaggio, del vivere senza riflettere (come gli animali e le piante) nella sua dimensione popolare. Diviene un valore reale, quale ricostruzione dei sentimenti elementari ma insopprimibili della società umana, quando si pone in una dimensione storica. Di qui i vari livelli della narrativa moraviana: quello dell’analisi della società borghese nella sua intima sporcizia, corruzione. Analisi che, non appoggiandosi a un sistema di valori ideali contrapposti a quella disgregazione, non raggiunge mai la denuncia ma rasenta spesso la compiacenza. In secondo luogo quello del fascino del primitivo, dell’elementare, dell’immediato che dà vita a una specie di poema della naturalità nei due volumi di “Racconti romani”. In questo caso l’analisi abbandona gli ambienti piccolo-borghesi e investe quelli popolari: e il popolo è visto come natura non come coscienza, in tutto ciò che ha di peggiore: la superstizione, la furberia, l’ignoranza. In terzo luogo, la rappresentazione dell’intellettuale borghese alienato che non sa più volere ma solo immaginare. Anche in questo caso la mancanza, in Moravia di un punto di vista superiore che gli permetta di giudicare quella abulia, indifferenza e indecisione, toglie reale tragicità al conflitto e pone spesso lo scrittore sullo stesso piano del suo personaggio. Di qui la compiacenza e la mancanza di misura. Infine, un autentico desiderio di normalità, una reale aspirazione a un mondo superiore retto da quelli che sono considerati i valori fondamentali.
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