Musica e potere: da Beethoven a Napoleone, da Casella al fascismo

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Sui canali Facebook e Youtube della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno dall’Auditorium San Domenico della cittadina umbra il racconto-concerto nato da un’idea di Virman Cusenza con la consulenza musicale di Marco Scolastra.

Ludwig van Beethoven, Carl Philipp Emanuel Bach, Gioacchino Rossini, Alfredo Casella, Dmitrij Šostakovič. Per contro, Napoleone Bonaparte, Federico il Grande di Prussia, Metternich, Mussolini e il fascismo, Stalin. Da una parte cinque grandi nomi della musica, dall’altra cinque figure politiche tanto potenti quanto controverse. C’è un legame? Sì, ed è quello che vede il potere ‘lusingare’ la musica perché sa che questa è la forma d’arte che più entra nel sentire collettivo, pervade una comunità e quindi più di altre forme consente al potere stesso di penetrare nel corpo sociale e farlo suo, condizionarlo.

 

E se la lusinga non basta, c’è anche la forza repressiva, il mettere nell’angolo, il discriminare. Ma non sempre riesce al potere, perché qualche volta la musica “gliele ha suonate…”. E oggi c’è chi racconta quel rapporto controverso, anche ambiguo, tra i due mondi. Lo fanno Virman Cusenza e Marco Scolastra, l’uno è autore del testo ed è voce narrante, l’altro accompagna al pianoforte nel racconto-concerto “Musica e potere” che in prima assoluta è andato in scena in streaming ieri pomeriggio sui canali Facebook e Youtube della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno dall’Auditorium San Domenico della cittadina umbra.

Una produzione della stessa Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno che ha offerto una ribalta su tre secoli di musica e potere, affidando alle parole e alle note la vocazione alla libertà dell’arte. La musica ammutolita e il potere – la politica – che grida. Anche in tempi di pandemia. Voci che oggi si alzano, mentre l’arte vive nei monitor, nel silenzio dei teatri chiusi a causa del’emergenza Covid-19. Un nervo oggi più che mai scoperto sul quale si innesta con straordinaria attualità il racconto-concerto nato da un’idea di Cusenza – già direttore de il Mattino e de Il Messaggero e oggi in forza a Fremantle – con la consulenza musicale di Scolastra. 

Incalzante, il dialogo tra parole e spartito racconta come “il rapporto tra musica e potere sa di sfida. Impalpabile e inafferrabile la prima; tangibile esercizio della forza il secondo. Pronti – dice Cusenza – ad entrare in conflitto nel corso della storia”. Viene quindi proposto – “e spero possa presto accadere in presenza nei teatri e negli auditorium” – un viaggio nei tre secoli chiave in cui tutto è cambiato. Tre secoli durante i quali “da suddito, il musicista si farà cittadino, e il committente, da padrone e sovrano, si trasformerà in prezioso interlocutore”.

E così, da Carl Philipp Emanuel Bach a Beethoven e Rossini, a Casella e Šostakovič il racconto-concerto incrocia le epoche di Federico il Grande di Prussia, Napoleone e del Congresso di Vienna, fino ad arrivare a Mussolini e Stalin. Per l’appunto “per capire chi, alla fine, le ha “suonate” meglio”. L’evento di ieri “con l’auspicio – ha evidenziato  il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, Umberto Tonti – che in questa particolare fase di incertezza e di complessità, si possano comunque condividere eventi culturali che testimoniano non solo la vicinanza alla comunità, ma anche lo spirito e la qualità che ha sempre animato l’azione della Fondazione nella decisiva opera di promozione e diffusione della cultura”. 

Cusenza spiega che cinque quadri musicali, e un prologo, “vengono raccontati attraverso la chiave del rapporto con il potere che allora vigeva, il rapporto con il potente di turno”. E spiega che ad esempio CPE Bach, come veniva chiamato Carl Philipp Emanuel, uno dei figli del grandissimo compositore, è stato il primo musicista che cerca di ritagliarsi una certa autonomia, senza dover ricorrere a committenze, interpretando la figura di un artista borghese e che si afferma “come antesignano dell’artista di oggi”.

Ludwig Beethoven invece è il primo che compone musica per se stesso, “quando vuole e se vuole, anche se ha delle committenze”. Un Beethoven “affascinato da Napoleone”, sebbene ci sia stato il famoso episodio della dedica stracciata dell’Eroica, la sua terza sinfonia; un Beethoven che diventa anche il primo a ricevere una specie di pensione che gli consente di comporre e a prescindere dalle committenze.

Gioacchino Rossini – racconta Cusenza – è visto invece come un musicista di destra in quanto amico del potere, in questo caso Metternich, “ma non è così, questa etichetta gli è stata attribuita perch>è dopo i successi delle sue opere a Vienna Metternich lo invita al congresso di Verona, nel 1822, e viene ammesso alla tavola con i grandi della Terra, in quello che oggi definiremmo una sorta di G20. E questo negli ambienti liberali era visto appunto come un peccato mortale”.

Poi c’è Alfredo Casella: “E’ perfettamente integrato con il fascismo, tanto da portarsi il busto del Duce sul pianoforte. Eppure, essendo compositore ‘modernista’ è accusato di strizzare l’occhio all’Internazionale ebraica e quando organizza il primo festival di musica contemporanea a Venezia, alcuni dei partecipanti sono ebrei e si scatena una campagna denigratoria sui giornali dell’epoca. in più aveva la seconda moglie di origine ebrea”. Il paradosso è che Casella trovò più comprensione in Goebbels, uno dei più potenti del Terzo Reich, al punto da poter portare la sua ‘Scarlattina’ in Germania, mentre in Italia ebbe forti difficoltà.

Infine Dmitrij Šostakovič: “La sua è stata una vicenda drammatica. Il segnale arrivo quando Stalin abbandono il palco del Bolshoi dove era rappresentata ‘Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk’, era evidente che si trattava di un abbandono per disapprovazione. Sulla Pravda uscì un articolo con un titolo che fece storia, ‘Caos anziché musica’, e il compositore cadde in disgrazia”. Un Šostakovič che però attraverso la musica fu capace di descrivere alcuni tratti del carattere di Stalin, oltre che esprimere il dramma dell’artista che finisce succube del potere, un artista che resiste come può e che però deve cedere a compromessi”.

E’ la conferma che la musica “più di altre forme d’arte sia stata puntualmente ‘attenzionata’ dal potere di turno, perché è appunto quella che più coglie l’animo dello spettacolo, e impadronirsene era un modo per il potere per impossessarsi delle piazze, del consenso”. La nonna paterna pianista, Cusenza fonde la passione per la cultura politica e la musica facendo dunque vedere come alla fine i due mondi abbiano dei tratti in comune. E infatti “musica e potere se le sono suonate con alterne fortune..”.

AGI – Agenzia Italia – Vincenzo Castellano

 

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