Assange, ritirata la cittadinanza ecuadoriana

Una sentenza di primo grado revoca, per irregolarità, il provvedimento voluto dal Presidente Moreno nel 2017. Tutto mentre il giornalista di WikiLeaks attende inerme nuova udienza nel carcere di Londra

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L’Ecuador fa marcia indietro: Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, perseguitato a lungo dagli Stati Uniti d’America in tutto il mondo per aver rivelato importanti “verità di Stato” ritenute estremamente “sensibili e lesive della sicurezza nazionale” e braccato attualmente in Inghilterra, non è più un cittadino ecuadoriano.

Lo ha stabilito recentemente il Tribunale per i contenziosi amministrativi di Pichincha secondo il quale la decisione presa in suo favore nel dicembre 2017 (ufficializzata a gennaio 2018) dall’allora presidente della Repubblica Lenín Moreno – che prevedeva la concessione della cittadinanza sudamericana, tesa a proteggere il giornalista australiano da accuse internazionali che pesavano sulla sua testa, unita al temporaneo proseguo a rifugiarsi nella sede londinese dell’ambasciata ecuadoriana, in attesa di un eventuale futuro visto diplomatico – sarebbe stata affrettata e avrebbe generato “possibili irregolarità” di forma.

In realtà quella “temporaneità” del provvedimento di Moreno aveva avuto vita breve comunque, visto che dopo 6 anni (2012-2018) di copertura ecuadoriana in Inghilterra – seguita alla fuga da una condanna inflitta per stupro le cui prove, nello stesso anno, si rivelarono non sufficienti – il fondatore di WikiLeaks era stato ugualmente arrestato dalle autorità britanniche nel 2019, ossia non appena lo stesso presidente latino-americano aveva provveduto a sospendergli il beneficio della cittadinanza acquisita e a ritirare il proprio appoggio nei suoi confronti, probabilmente in vista di un ulteriore memorabile prestito dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) che l’Ecuador, successivamente, ottenne.

Assange e WikiLeaks, breve storia infinita

Julian Assange (all’anagrafe Julian Paul Hawkins, cognome mutato dopo il secondo matrimonio materno) nasce il 3 luglio del 1971. Giornalista d’inchiesta, intellettuale, attivista e programmatore, nel 2006 co-fonda e co-dirige WikiLeaks, un’associazione senza scopo di lucro il cui obiettivo era quello di raccogliere – in modo totalmente anonimo e con crittografia PGP o AES – documenti coperti da segreto di Stato, militare e/o bancario-industriale inviati da ogni parte del mondo, valutarli nella loro veridicità – nonché attinenza a episodi di spionaggio e/o corruzione – per poi renderli pubblici.

È nel 2007 che WikiLeaks comincia a far parlare di sé, dopo aver desecretato alcuni files relativi alle continue torture fisiche e psicologiche che erano state perpetrate per anni nel carcere Abu Ghraib e nel campo di prigionia di Guantánamo (la struttura detentiva statunitense di massima sicurezza situata a Cuba, aperta ufficialmente nel 2002 dal governo di George W. Bush e nota all’opinione pubblica mondiale proprio per le continue violazioni delle Convenzioni di Ginevra nei confronti dei prigionieri di guerra catturati in Afghanistan e Pakistan1).

Ma è dal 5 aprile 2010 che l’associazione diventa veramente “pericolosa” – entrando nel mirino dell’intelligence anglo-americana e che il nome Assange diventa sinonimo di “divulgatore di menzogne” e di “hacker da quattro soldi”: in questa data, infatti, WikiLeaks pubblica il video “Collateral murder”, parte determinante degli Iraq War Logs, che mostra una sequenza di fotogrammi2 sull’uccisione di circa 18 civili iracheni – tra cui due giornalisti della Reuters – per mano di un elicottero militare statunitense che comincia a sparare su dei cittadini inermi3, con un audio in cui si sentono addirittura i soldati ridacchiare.

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Pochi mesi dopo – il 25 luglio 2010 – WikiLeaks rende noti anche 91.731 documenti relativi, questa volta, alla guerra in Afghanistan: una raccolta di files che va dal gennaio 2004 al dicembre 2009 e che mette in luce l’assassinio di ulteriori uomini disarmati da parte di truppe irachene britanniche, nonché il sostegno economico di Pakistan e Iran alle forze talebane. Emerge cosa sia stata la (fino ad allora occultata) “Task force 373“, un commando militare congiunto attivo proprio in territorio afgano e responsabile dell’uccisione di alcuni bambini in circostanze alquanto confuse (e che non verranno mai precisate). Probabilmente è questo duro colpo alla “buona facciata” degli americani che spingerà il Segretario di Stato Mike Pompeo a parlare di “strani rapporti tra WikiLeaks e la Russia”, nonché a stringere il cerchio intorno ad Assange: comincia infatti “l’odissea del giornalista” la cui prima tappa è una sorta di “embargo finanziario“, con aziende del calibro di Amazon che all’improvviso gli negheranno i server e di Visa, MasterCard e PayPal che precluderanno alla sua associazione la possibilità di continuare ad essere liberamente finanziata.

Aveva preso forma un apparente tentativo di annientamento sia morale che economico di Assange, al quale lo stesso risponderà in due fasi: prima il 22 ottobre del 2010, con altri 400mila documenti militari statunitensi sulla guerra in Iraq; poi un mese dopo (28 novembre 2010) con la pubblicazione di “Cablegate“, una raccolta di oltre 251.000 scritture confidenziali tra 274 ambasciate americane sui comportamenti pubblici e privati dei più importanti capi di Stato mondiali e sui rapporti tra USA ed estremo oriente. Questi documenti saranno visti come una prova dei finanziamenti di Al Qaeda da parte dell’Arabia Saudita, finendo col gettare più di un’ombra sulle relazioni tra Riyad e Washington4.

E quindi parte da quel momento anche “il calvario di Julian Assange”: ad appena due mesi da “Cablegate” – il 7 dicembre del 2010 – viene arrestato a Londra in seguito al mandato di cattura internazionale emesso (ad agosto 2010) da un tribunale svedese (con annessa richiesta di estradizione che verrà approvata a febbraio 2011 e confermata a maggio 2012), accusato di molestie sessuali e stupro. Verrà rilasciato dopo 9 giorni su cauzione (235mila euro, più alloggio vincolato in una residenza lontana al massimo tre ore da Londra) ma quella “caccia all’uomo“, ormai partita per Stati Uniti e Gran Bretagna, nel giugno del 2012 porterà il giornalista a chiedere asilo da rifugiato politico all’interno dell’ambasciata ecuadoriana londinese – si scoprirà nel 2019 che (pare anche all’insaputa dello stesso governo di Quito) la sede diplomatica era stata posta per lungo tempo sotto stretta vigilanza locale audiovisiva – e a ottenerlo grazie, soprattutto, alle ferme posizioni dell’allora presidente di Stato Rafael Correa5.

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Assange, in questi anni, conduce The world tomorrowtalk show6, prima dall’abitazione in cui si trova agli arresti domiciliari nel Regno Unito, poi dall’ambasciata ecuadoriana. Chiede asilo e protezione umanitaria anche in Francia, ma l’Eliseoinspiegabilmentegli chiude la porta in faccia. In nessuna circostanza tuttavia sacrifica la propria “missione” di dover informare in modo libero e trasparente – seppur a tutti gli effetti fisicamente prigioniero – tanto da “colpire” ancora nel 2016 quando, durante la corsa alla presidenza americana che vedeva come antagonisti politici Hillary Clinton e Donald Trump, pubblica più di 1000 mail confidenziali della Clinton in cui la stessa aveva vantato i tanti  risultati economici ottenuti a Wall Street tra lei e il marito (restituendo un’immagine di Democratico USA “al caviale”) e da cui trapela la partecipazione di Arabia Saudita e Qatar in azioni a supporto della formazione dello Stato Islamico della Siria e dell’Iraq (ISIS) – ponendo concreti dubbi su un eventuale coinvolgimento anche statunitense, di conseguenza, nella questione -.

Con la vittoria di Trump sarà pertanto Assange il capro espiatorio della sconfitta elettorale “dem” – e da qui il riesumarsi delle “pompeiane” certezze d’interferenza russa nella politica americana, mescolate ad una “spruzzatina” d’odio nei suoi confronti da parte di alcune correnti progressiste – fino a quel 2 aprile del 2019, quando il governo ecuadoriano del neoeletto Moreno (personalità dichiaratamente filoatlantista subentrata a Correa nel 2017) gli ritirerà lo status di rifugiato politico, in un contesto sociale tutt’altro che tranquillo: dopo aver circondato l’ambasciata sudamericana, il giorno 11 aprile gli inglesi irrompono nella sede (legittimati dall’Ecuador) e arrestano per la seconda volta il giornalista, reo di aver violato (in passato) i termini della libertà condizionale cercando la protezione nella diplomazia ecuadoriana anziché presentarsi in tribunale a Londra – ma, soprattutto, anche in relazione a una sopraggiunta formale richiesta di estradizione fatta dagli Stati Uniti d’America con le accuse di cospirazione (in base a cosa previsto dall’Espionage Act del 1917) e spionaggio (colpe che Assange disconoscerà categoricamente in fase di udienza) -. Viene condotto nella prigione di Sua Maestà Belmarsh (carcere maschile di categoria A utilizzata in casi di alto profilo criminale, in particolare quelli riguardanti la sicurezza nazionale), in una cella di metri 2×3 da cui è possibile uscire solo per un’ora d’aria al giorno, con all’interno esclusivamente un letto, un water e una scrivania.

Nel novembre del 2019, sulla scia di forti proteste e appelli per il suo rilascio espressi dall’opinione pubblica e da svariate organizzazioni per i diritti umani nel mondo, Nils Melzer (relatore ONU sulla Tortura e altri Crimini) dichiara – e successivamente più volte ribadirà  che Assange “deve essere rilasciato e la sua estradizione deve essere negata”, una posizione successivamente fatta propria anche dal Consiglio d’Europa. Decadono nel frattempo (il 19 novembre) le accuse di violenza sessuale per mancanza di prove ma poco altro si smuoverà in quel frangente, neppure dopo svariati richiami istituzionali da parte delle Nazioni Unite. Arriviamo così alla discussa sentenza del 4 gennaio 2021, pronuncia con cui il tribunale penale centrale britannico (Central Criminal Court, o Old Bailey, a Londra) decide di negare temporaneamente l’estradizione del giornalista per fondati motivi di natura medica (nello specifico la Corte distrettuale inglese – nella persona del giudice Vanessa Baraitser motivò il controverso verdetto con la necessaria prudenza da dover adottare per non ledere ulteriormente la salute mentale di Assange: pare infatti che, nel frattempo, si fossero sviluppate nel giornalista delle tendenze suicide e autolesioniste, plausibilmente propense ad aggravamento in caso di eventuale prigionia negli Stati Uniti d’America)7.

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Scacco matto ecuadoriano

Ciò nonostante il Tribunale di Pichincha, con pronuncia di primo grado di tre giorni fa, ha ritenuto necessario sottolineare che nel 2017 la decisione di Moreno fu presa probabilmente in maniera “scorretta” e concedere, tuttavia, al fondatore di WikiLeaks – che non è stato neppure interpellato dalla Giustizia ecuadoriana – il diritto di potersi difendere in aula a proposito.
Il team legale internazionale di Julian Assange ha chiaramente già annunciato che presenterà l’ulteriore ricorso.

Un vate del Giornalismo continua a essere recluso da più di 2 anni in un carcere di massima sicurezza definito “la Guantánamo londinese“, in attesa di quella nuova ennesima udienza che segue l’effimero e momentaneo diniego dei tribunali britannici a estradarlo in un altro Paese8.

Quella scrivania accanto al letto e al water fa ancora così tanta paura ad alcune “democrazie” occidentali?

Antonio Quarta

Redazione Il Corriere Nazionale

Corriere di Puglia e Lucania

Note di riferimento:

  1. Nel 2006 il segretario della Difesa USA Donald Henry Rumsfeld giustificò al mondo lo scandalo dei WikiLeaks files affermando che “[…]il 93% dei detenuti di Guantnámo è da considerarsi combattente nemico, quindi non è che gli si può usare il privilegio del prigioniero politico così come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra”.
  2. A fornire queste immagini fu Chelsea Elizabeth Manning, ex soldato statunitense rispondente al nome di Bradley Edward Manning (prima della propria “transizione” sessuale) che fu successivamente condannato/a a 35 anni di carcere militare (commutati in 7 dal perdono presidenziale dell’uscente Barack Obama nel 2017), graziato e poi ancora rimesso in galera dal 2019 al 2020 a causa del rifiuto di testimoniare davanti a un Grand Jury nel processo a WikiLeaks, il che lo portò finanche a tentare il suicidio.
  3. Si narrerà in seguito di civili scambiati per militari quasi accidentalmente, mentre il Pentagono aveva parlato in precedenza di “un combattimento in corso lì dove quelle persone stavano camminando”.
  4. Da “Cablegate” trapelavano perfino informazioni e commenti sulle molte “passioni terrene” dell’allora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, oltre ai vari elementi riguardanti le personalità politiche di Vladimir Putin, Nicolas Sarkozy e Mu’ammar Gheddafi.
  5. Le tutele concesse ad Assange dal politico socialista scateneranno le ire dell’Inghilterra, che arriverà a minacciare persino la violazione delle porte della rappresentanza sudamericana per arrestarlo. Quanto a Correa, “[…]oltre che per le scelte di politica economica, numerose sono state le occasioni in cui la politica condotta dal suo governo in Ecuador ha registrato momenti di tensione nei confronti degli Stati Uniti. Più volte (Correa) aveva annunciato la volontà di non rinnovare la concessione della base aerea “Eloy Alfaro” a Manta. Inoltre, nel febbraio del 2009, alcuni membri della rappresentanza diplomatica statunitense nel Paese latino-americano furono espulsi in seguito a controversie connesse con il diritto di veto esercitato dagli USA sulle nomine della polizia anti-contrabbando. Parallelamente al deteriorarsi del legame con gli Stati Uniti venivano invece ristabilite le relazioni diplomatiche tra Ecuador e Iran (il presidente iraniano Ahmadinejad fu tra gli ospiti stranieri invitati alla cerimonia di insediamento di Correa, il quale poi visitò Teheran nel dicembre del 2008 per stipulare diversi accordi con il governo locale)” [cit. Wikipedia].
  6. The world tomorrowtalk show era un appuntamento televisivo settimanale, in onda sull’emittente Russia Today e “postato” in seguito sul relativo canale YouTube, che consisteva in un’intervista di circa 25 minuti con uno o due ospiti.
  7. Prima nota di aggiornamento all’articolo del 25 aprile 2022: La Giustizia ha però tante sfaccettature differenti, a volte risulta plasmabile, accomodante o pronta ad applicare pesi e misure “equilibranti” in base al caso specifico e, troppo spesso, si ritrova particolarmente incline a soffrire le innumerevoli pressioni ed ingerenze politiche, mai assenti: quella decisione verrà infatti rapidamente ribaltata il 10 dicembre 2021 dall’Alta corte di Londra (con l’applicazione di una detenzione preventiva finalizzata a garantire la presenza fisica dell’attivista nelle successive fasi del processo per l’estradizione negli Stati Uniti – procedimento che sarebbe potuto durare anche diversi anni -), “smontata” poi il 14 marzo 2022 (la Corte Suprema del Regno Unito ribadisce il verdetto respingendo il ricorso presentato dai legali di Assange e lasciando l’ultima parola al ministro dell’interno Patel), definitivamente sepolta, in ultimo, il 20 aprile 2022 (con la sempre londinese Westminster Magistrates’ Court che emette per il giornalista l’ordine formale di estradizione negli USA – dove, salvo miracoli del ricorso in extremis presso l’Alta corte, dovrebbe affrontare 17 capi d’accusa rischiando 175 anni di prigionia -, al termine di un’udienza a cui l’attivista australiano ha assistito in videocollegamento).
  8. Seconda nota di aggiornamento all’articolo del 25 aprile 2022: Nel carcere di H.M. Belmarsh, dove nel frattempo sono comunque penetrate prepotenti le richieste mondiali di tutela del prigioniero e/o della sua liberazione, di un’Informazione giornalistica libera e non condizionata dagli affarismi dei servizi segreti di nessuno Stato civile, nonché di rispetto dei sacrosanti diritti umani internazionali, Julian Assange riuscirà nel 2022 a sposare Stella Moris – suo ex avvocato, di origini sudafricane, con cui ha una relazione dal 2015 (e due bambini concepiti nell’ambasciata tra il 2012 e il 2019) – durante un rituale svoltosi in presenza di pochissimi invitati (due guardie e quattro ospiti, oltre ai due testimoni).

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