Maschi e murmaski, due generi in via d’estinzione. Intervista a Chiara Bongiovanni

Arte, Cultura & Società

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A cura di Mariangela Cutrone

L’ironia è una dote straordinaria capace di salvarci in diverse situazioni quotidiane, soprattutto quelle più sgradevoli. Ne sanno qualcosa i personaggi esilaranti e singolari di “Maschi e Murmaski”, di Chiara Bongiovanni, edito da Feltrinelli. In questa commedia sentimentale e intellettuale al tempo stesso, nulla è dato per scontato.  È ambientata in una Parigi inedita che fa da sfondo a vicende incredibili che fanno inevitabilmente sorridere il lettore che non può fare a meno di entrare in empatia con i suoi protagonisti non ordinari.

Da una parte troviamo Babette, una libraria animalista, giovane donna passionale e impulsiva. Il suo antagonista è Simon, noto come l’Orco, biologo favorevole alla sperimentazione animale, un uomo razionale e scorbutico. Tra i due scatterà subito la cosiddetta “scintilla” che li indurrà a scoprire l’uno il mondo dell’altro per poi comprendere che stiamo parlando di universi paralleli e completamente diversi. Sarà valida tra di loro la convinzione che gli opposti si attraggono?

Circondati da una serie di personaggi minori, ma emblematici, l’attrazione tra i due si farà sempre più viva grazie ad una serie di equivoci, colpi di scena e situazioni insolite che li proietteranno in un castello isolato, un vero mondo surreale in cui si aggirano cameriere basche e scienziate turche.  “Maschi e murmaski” è un romanzo frizzante, divertente e non convenzionale. Chiara Bongiovanni si dimostra con esso un’abile e fantasiosa scrittrice capace di osare e divertire il lettore utilizzando citazioni e riferimenti letterari originalissimi. Del genere maschile e del mondo non convenzionale del suo romanzo ci parla in questa intervista.

A cosa si è ispirata nella creazione di personaggi così singolari come Babette e Simon?

Guarda, devo ammettere che sono arrivati un po’ da soli quando ho cominciato ad avere un’idea della storia che intendevo raccontare. Babette è spuntata subito, ingenua e pasticciona, ma pronta a intestardirsi davanti a ogni sconfitta o ingiustizia. Seduttiva quasi suo malgrado. Simon è venuto fuori con maggiore difficoltà. Sapevo di non volere il classico bello e impossibile, ma farlo brutto e possibile non era una grande idea. Inizialmente ho pensato al padre di Lessico famigliare della Ginzburg, poi via via l’ho ammorbidito con quel lavoro di puzzle dalla realtà che è quasi inevitabile. Il sorriso sghembo di uno, i malumori improvvisi di un altro, il loden di un altro ancora. Alla fin fine però devo ammettere che lo scontroso Simon è stato più apprezzato dai lettori della dolce Babette. Su di lei ho avuto qualche commento negativo (il più divertente, “sei tu, ma scema”), su di lui nessuno.

Il motto della libreria anticonvenzionale del suo romanzo recita “Leggere non serve a niente”. Lei che rapporto ha con i libri?

Leggere non serve a niente è la mia personale difesa contro una certa retorica dolciastra del libro che ti salva la vita, della biblioterapia, delle farmacie per l’anima e via degenerando. Tutte cose che mi fanno venire un’immediata e violenta orticaria. Rispetto alla lettura credo di essere abbastanza onnivora, passo costantemente da un genere all’altro. In questi ultimi giorni sto leggendo un vecchio Giallo Mondadori e rileggendo l’Orlando Furioso narrato da Calvino. Ultimamente devo confessare che uso tantissimo gli audiolibri, sui bus, a spasso col cane, riempiendo la lavastoviglie, moltiplicano il tempo di lettura. E non mi distraggo, per niente, anzi il rischio è distrarmi dalla vita, mettere il gatto in lavastoviglie o farmi tre volte il giro da un capolinea all’altro.

Dal suo romanzo emerge da parte di Babette, la protagonista femminile, una scarsa fiducia nei confronti del genere maschile. Lei invece che rapporto ha con i “maschi”?

Per il gusto della battuta verrebbe subito da rispondere, preferisco i murmaski. Ma non sarebbe del tutto vero. Insegno in un istituto tecnico dove i maschi sono il 95% della popolazione studentesca e ne sono molto felice. Aldilà dei facili luoghi comuni sono buffi e curiosi anche se spesso un po’ rozzi. Mi fanno una tenerezza infinita di quelle che stringono il cuore. Forse è vero, come dico nel romanzo, che maschi e murmaski sono due specie in estinzione, ma in entrambi i casi salvarli è d’obbligo

Secondo lei nella realtà gli opposti si attraggano così come accade a Babette e Simon che al primo impatto sembrano due mondi completamente diversi?

Non sempre. È un topos letterario che a partire da Orgoglio e Pregiudizio sta alla base di moltissime commedie sentimentali. Prima della Austen gli innamorati venivano separati da elementi esterni, come il leone e che sbrana Tisbe, le famiglie di Romeo e Giulietta, i pirati che rapiscono Dafni, dopo di lei i primi ostacoli sono quelli dentro i due protagonisti. Nella realtà potrei accettare persone anche diversissime da me, ma qualcuno con idee politiche o morali totalmente opposte credo di no.

Il mondo descritto dal suo romanzo è poco tollerante nei confronti delle convenzioni e dei pregiudizi. Come definirebbe il concetto di convenzione?

In Maschi e murmaski c’è un personaggio, di solito molto amato dai lettori, il libraio Mathias, che estremizza il mio fastidio per le convenzioni. Forse in questo caso lascio parlare lui:

“Non posso farci niente, i guru, gli sciamani, gli istruttori di scuola guida, i preti carismatici, i maestri di arti marziali, persino gli insegnanti qualche volta, specialmente se sono bravi […] mi fanno suonare un campanello d’allarme. Quella seduzione indiscriminata non fa per me. […] E allora con quelli così, uso la mia straordinaria intelligenza per coglierli in fallo invece che per ammirarli e in questo modo resto ignorante, ateo e pure senza patente. “

 

Maschi e murmaski è ambientato nella meravigliosa capitale francese. Quanto il suo periodo parigino le è stato d’aiuto nella stesura del suo romanzo?

Sicuramente c’è stato un aiuto, come dire, emotivo. A molti dei luoghi di cui parlo ero e sono legata affettivamente e quindi le mie descrizioni vibrano di un pizzico di empatia in più. Devo anche dire che ho lavorato a memoria per quasi tutta la stesura, preferivo sbagliare i colori o i dettagli, ma basarmi sui miei ricordi. Poi, nel momento in cui il libro era praticamente finito, sono andata su a Parigi per qualche giorno, ho visto che avevo sbagliato effettivamente molti dettagli e ho deciso di non cambiarli.

Colpisce l’ironia e il sarcasmo con i quali narra le vicende del suo libro. Per lei cos’è l’ironia e quanto può esserci d’aiuto nella vita di tutti i giorni?

Sono stata educata a pensare che il senso dell’umorismo ti salva la vita più di qualunque altra cosa e continuo a pensarlo ancora oggi. Non voglio scomodare qui leggerezze calviniane, semplicemente l’ironia protegge e distanzia, crea una seconda pelle, non insensibile, ma meno facile da ferire e allo stesso tempo permette di vedere se stessi e il mondo da lontano.  L’ironia è per me una forma di protezione dai mali e dalle difficoltà che uso quotidianamente, nell’insegnamento, nella scrittura, in amore. Ammiro infinitamente chi riesce ad avere il senso del tragico, a individuare le pieghe del male e della sofferenza, ma non è proprio il mio.

Il suo libro è stato definito un nuovo genere letterario, il romanzo rosa alla Bertola, ci può chiarire la definizione?

Questo bisognerebbe chiederlo a Stefania Bertola. Io ho pensato soltanto che fosse una fascetta che mi metteva molto in imbarazzo perché non credevo di meritarla. Ritengo comunque che lei accennasse al gusto per i libri, le citazioni, i tanti piccoli indizi letterari che semino qua e là nel testo e che danno la possibilità di fare una lettura su due livelli. Un primo livello molto immediato per godersi la commedia sentimentale e un secondo livello, forse più “intellettuale”, che vede tutti i piccoli scarti consapevoli rispetto tradizione del genere romance.

C’è un personaggio al quale è più affezionata e perché?

Sono affezionatissima a tutti i personaggi minori. Due in particolare mi stanno a cuore: Hubert, l’ex fidanzato di Babette, teatrante amareggiato, che forse la amerà sempre come Simon non potrà mai e Sorkunde, la cuoca basca che ho costruito a partire da una cuoca che ho conosciuto da bambina e che era una donnina minuscola, tostissima e meravigliosa. E poi naturalmente Mathias, ma lui, con il suo umorismo caustico, direi che è l’anima del libro piuttosto che un comprimario.

Questo è il suo romanzo di esordio, per lei cosa significa scrivere?

Non mi sento assolutamente una scrittrice. Mi stupisce sempre quando mi trattano come tale, anche qui, in questa intervista. Però giocare a scrivere mi diverte da matti, devo ammetterlo. Ho iniziato regalando raccontini a parenti e amici. Poi la cosa mi ha un po’ preso la mano. Non scrivo tutti i giorni, ma quando mi butto posso essere anche molto veloce, cerco di non seguire troppo le regole e di evitare i temi alla moda. Per il resto non saprei l’ultima parola spetta sempre ai lettori.

 

 

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