Chi si vaccina ha un’immunità più forte e duratura rispetto a chi si ammala

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La conferma proviene dal primo studio di monitoraggio di un campione significativo della popolazione sanitaria attraverso tutto il periodo del Covid-19. Una ricerca ideata e realizzata dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO)

Vaccino contro il Covid

Chi si è vaccinato contro il Covid ha una minore probabilità di ammalarsi, e se succede, comunque la reinfezione ha una durata più breve. Ma soprattutto nei soggetti vaccinati l’immunità al virus è più forte e duratura rispetto a quella sviluppata naturalmente da chi contrae il virus e, in generale, è legata al livello di anticorpi circolanti che si formano in ognuno di noi.

La conferma proviene dal primo studio di monitoraggio di un campione significativo della popolazione sanitaria attraverso tutto il periodo del Covid-19. Ideata e realizzata dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e finanziata dalla Fondazione Guido Venosta, l’iniziativa ha visto oltre 2000 dipendenti e collaboratori dello IEO operativi negli ambiti sanitario, amministrativo e ricerca, sottoporsi (nel periodo da maggio 2020 a settembre 2021) a test molecolari per l’infezione da SARS-CoV-2 e a test sierologici per misurare la risposta immunitaria contro il virus.

Cosa dice lo studio

Con l’avvio della campagna vaccinale nel gennaio 2021 le medesime persone sono state vaccinate e monitorate mensilmente dopo la vaccinazione, fino settembre 2021. “Abbiamo osservato che il livello di anticorpi circolanti anti-SARS-CoV2 è un indicatore attendibile del rischio di infezione; dunque i test sierologici potrebbero essere utili nella programmazione delle campagne vaccinali”, commenta Pier Giuseppe Pelicci, direttore della ricerca IEO e coordinatore dello studio.

“La correlazione tra bassi livelli di anticorpi e aumentato rischio di infezione è stata ottenuta nella intera popolazione dei vaccinati e su dati retrospettivi. Non ha quindi ancora un valore predittivo nel singolo individuo. Potrebbe invece essere molto utile se applicata, per esempio, alle popolazioni di individui esposti ad alto rischio di infezioni o più fragili”.

“Abbiamo inoltre dimostrato che il vaccino funziona bene: il tasso di infezione nella popolazione studiata è passato dal 17,8% prima della vaccinazione all’ 1,5% dopo il vaccino. Inoltre, i vaccinati che contraggono il virus hanno limitata capacità di contagio perchè la carica virale è molto bassa e dura pochi giorni”.

“I nostri dati hanno potenziale rilevanza pratica“, conclude Pelicci in quanto “i livelli di anticorpi circolanti possono contribuire a definire le tempistiche delle vaccinazioni successive in selezionate popolazioni. Non c’è dubbio che quanto e quando vaccinare la popolazione italiana sarà deciso dall’andamento globale dell’epidemia. La disponibilità però di un test che informa sulla presenza di un alto rischio di infezione potrà essere utile per difendere le popolazioni più esposte o più fragili”.

“Mi auguro che i risultati di questo studio possano fugare i dubbi di chi ancora non crede nel buon funzionamento dei vaccini, e che i test sierologici vengano usati nell’ambito di campagne vaccinali mirate”, commenta Giuseppe Caprotti, Presidente della Fondazione Guido Venosta. “Lo spirito che ha animato il programma si basa sull’importanza della ricerca scientifica il cui scopo è migliorare le condizioni di vita dell’uomo”. agi

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