Crisi dei partiti e la politica incapace di porvi rimedio

Politica

Di

Dopo la debacle dei gruppi politici in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica il tema dei partiti politici è tornato al centro dell’attenzione di esperti e pseudo tali che pontificano sulla loro (dei partiti, s’intende) irreversibile crisi. Tra gli esperti annovero anche noti costituzionalisti ed ex giudici della Consulta. Con tutto il rispetto e, direi, con la venerazione verso i costituzionalisti e politologi di chiara fama, sono costretto a esprimere seri dubbi sulla questione.

Ma andiamo con ordine.

Il sistema rappresentativo, qual è il nostro sistema politico, postula la necessità di affidare ai cittadini la scelta, attraverso il voto, dei titolari delle assemblee legislative.

La Costituzione italiana favorisce in vari modi la partecipazione del popolo, al quale appartiene la sovranità, nella determinazione della politica nazionale. A tale fine ai cittadini è consentito di far parte di formazioni sociali nelle quali si forma e si consolida la loro personalità. I partiti politici sono una particolare formazione sociale nella quale si dovrebbe formare la personalità dei cittadini che intendono partecipare attivamente alla vita politica e sono o, almeno, dovrebbero essere, lo strumento attraverso il quale i cittadini possano concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, al centro della quale, ricordiamocelo, vi è, o dovrebbe esserci, l’interesse generale (art. 49).

Ma, come sappiamo, nei partiti si sono intrufolati personaggi poco raccomandabili che all’interesse generale antepongono i loro –  talvolta inconfessabili – interessi particolari: quelli della propria bottega politica e, più spesso, quelli del loro portafogli. Costoro trovano comodo attribuire ai partiti, enti astratti, disfunzioni generate, piuttosto, dalla loro smisurata sete di potere e di ricchezza da conseguire anche con mezzi illeciti. Salvo, poi, nell’ipotesi in cui vengono scoperti i loro malaffari, attribuire la responsabilità alla magistratura che definiscono politicizzata. Si tratta di modi efficaci se riescono a convincere l’opinione pubblica che il sistema giudiziario è gravemente malato. E ci riescono, anche perché controllano la stampa nazionale che, invece di fare da cane da guardia del potere, lo assecondano ingenerando confusione e distorsioni.

Sabino Cassese, insigne costituzionalista, auspica un mutamento radicale delle regole della politica. Ma non dice come e da chi deve essere realizzato. Tutti siamo convinti che le regole che presiedono all’organizzazione politica non sono finalizzate al conseguimento dell’interesse generale, ma, anzi, si prestano benissimo a incoraggiare attività finalizzate alla realizzazione di interessi di bottega. E chi volesse entrare nelle stanze del potere non deve fare altro che omologarsi all’attuale sistema politico.

Contrariamente viene accusato di vicende poco pulite da cui può sottrarsi solo rinunciando all’attività politica. Qualche esempio? Ignazio Marino, Sindaco di Roma (2013/2015), fatto fuori dal suo stesso partito che non accettava metodi di governo trasparenti e finalizzati al bene pubblico. Un esempio più recente è dato da Giuseppe Conte che con una certa eleganza di stile ha cercato di portare aria nuova nella gestione della cosa pubblica. In quest’ultimo caso l’attacco da parte del potere costituito è stato molto più articolato.

Ben due Procure (Perugia e Roma) si sono incaricate di indagare sul passato dell’avvocato del popolo per scovare condotte ritenute riprovevoli. Per non dire dell’ordinanza cautelare del Tribunale di Napoli che, senza che ce ne fossero i presupposti, ha deciso, in via provvisoria, che l’elezione di Conte a Presidente del Movimento 5 Stelle, andava sospesa sino a sentenza.

Ora non si può che essere d’accordo con chi invoca nuove regole nell’organizzazione politica. Regole che, però, dovrebbero essere proposte da quegli stessi che traggono vantaggi enormi dall’attuale sregolatezza.

A mio avviso, invece, occorre una radicale rivoluzione culturale che ponga in primo piano la necessità di costruire una nuova etica individuale, impossibile oggi da realizzare a causa della detenzione in regime di quasi monopolio dei mezzi di comunicazione di massa, controllati da chi vuole che il popolo rimanga estraneo ai luoghi di decisione politica.

In conclusione la crisi non riguarda i partiti ma coloro che li controllano e li guidano; è troppo comodo trasferire su enti giuridicamente fittizi responsabilità che sono e restano dei politici che li usano nel proprio esclusivo interesse.

Raffaele Vairo

foto nicolaporro.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Traduci
Facebook
Twitter
Instagram
YouTube