Intervista a cura di Mariangela Cutrone
La poesia è un genere letterario che fa fatica ad affermarsi nel panorama editoriale odierno eppure molti artisti non possono fare a meno di scrivere i propri componimenti con tanta passione e affidando ai propri versi suggestioni visive che lasciano il segno. Tra questi poeti vi presento l’artista bolognese Massimiliano Marrani, poeta, pittore, fotografo, illustratore che ha pubblicato con la stimata casa editrice “I Quaderni del Bardo di Stefano Donno” il libro “Al largo nella città: Anche se gli alberi, Idro, Dromi”. Marrani è un vero e proprio artista a 360 gradi e la sua poetica è in grado di creare una campionatura di suggestioni ispirate alla realtà autentica, quella che ci circonda e che inevitabilmente diventa fonte di ispirazione per chi è capace di coglierla, animato da sensibilità innata. Quella di Marrani è una sensibilità e una capacità inedita di cogliere dettagli visivi, immagini nitide, emozioni e stati d’animo e di imprimerli su carta ascendendo ad un iper/realismo oggettivo quasi da incubo. La poesia di Massimiliano Marrani è in grado di orientare il lettore in una dimensione selvaggia e per alcuni versi cinica e spiazzante che restituisce una versione della realtà in cui non c’è posto per alcun tipo di artifizio ma solo di pura verità.
In questa esclusiva intervista l’artista bolognese ci parla di come nascono i suoi componimenti poetici e di cosa significa fare poesia al giorno d’oggi
Da dove trae l’ispirazione per i suoi componimenti poetici?
Potrei dire che sono una pianura sotto un cielo, entrambi sempre esposti uno all’altro. In determinate circostanze, di cui ignoro le coordinate, in un punto tanto specifico quanto casuale, tra i due spazi, accade uno scambio di polarità, una differenza di temperatura e si produce una scarica elettrica: una scintilla, un fulmine. Proprio in quel punto io mi vado a sedere e scrivo.
I suoi versi richiamano immagini suggestive che delineano una realtà cruda e veritiera. Quanto il suo lavoro da illustratore e pittore le è d’aiuto nella scrittura dei suoi versi?
La mia formazione visiva è inscindibile. Una poesia che non abbia agganci con uno spazio fatto di case, volti, strade, alberi, acqua, ovvero nella quale non vi siano elementi ma anche azioni chiare, diciamo figurative, difficilmente mi interessa. Provo anzi una sorta di sospetto laddove tali elementi sono stati epurati, esattamente il motivo per cui la pittura astratta, tranne in rarissimi casi, non mi convince. È un mio limite, me ne rendo conto. C’è da dire però che se determinate combinazioni di parole mi colpiscono per la loro capacità di suscitare immagini concrete, non tutte le parole sono o possono essere immagini. Ad esempio gli avverbi, le congiunzioni, le preposizioni; oppure tra i tantissimi sostantivi parole come ruffiano, oppure verbi come scusare, non rendono molto facilmente un’immagine, ma allo stesso tempo hanno un peso enorme in una poesia qualora venissero usati, questo perché la poesia è fatta di parole. È un aspetto che ho dovuto sussumere in profondità e non è stato affatto automatico. Nel tempo ho imparato dunque a discostarmi dalla mia tendenza, un poco ingenua, di una visionarietà a tutti i costi, ovvero trattare il testo come fosse un sogno, o un incubo. Faccio molta attenzione a non cadere in questo vicolo cieco. Laddove l’aspetto visivo irrompe, diventa subito dopo (o è subito prima) stemperato in qualcos’altro, come annullato; questo per impedire una proliferazione dell’immagine e permettere così l’ingresso a un discorso.
Per lei cosa significa fare poesia?
Anzitutto stare solo, senza nessuno attorno
Quando e come è nata questa sua passione per la poesia?
Qualcuno ha detto che il poeta nasce dal primo vagito, il pianto dunque è o dovrebbe essere la prima forma di canto. Molto scenografico no? Da quel che ricordo la mia altalenante pratica poetica, ben lontana dall’essere una passione, è nata con l’analogia. Con la parolina magica “come”. Scoprii proprio alle elementari che una qualunque cosa poteva essere un’altra e questa un’altra ancora. Scrissi dei versi. Uno diceva – l’unico che ricordo a dire il vero – “la neve è bianca come cotone”. Un verso imbarazzante, ma quel “come” avrà per me una storia molto lunga, esprimerà un potere e un limite altrettanto immensi che si protrarranno per molti anni… Le cose sono soltanto quello che sono
(già, ma cosa?) o sono anche qualcos’altro (com’è possibile?) etc…
Secondo lei qual è il ruolo del poeta al giorno d’oggi?
Direi che non ne ha assolutamente nessuno. In questa mancanza di ruolo – che viene invece preteso dalle parti produttive che formano il grande tritacarne in cui siamo tutti coinvolti e che non fa che rubarci il nostro erotismo – il poeta, pur facendone parte, è però più solo degli altri: è lì con la sua inutile e ferrea disciplina e non ha niente altro con cui resistere. Il poeta è povero per definizione, e quando è bravo, ma bravo davvero, ecco, fa sentire quanto sei povero anche tu.
C’è un componimento di Al largo della città al quale è tanto affezionato rispetto agli altri e perché?
Sono particolarmente affezionato all’ultima poesia della sezione Idro (Idro è un piccolo lago di origine glaciale, vicino a Brescia) nella quale mi rivolgo a Danilo, mio figlio. È stata scritta pressappoco in un’unica sessione, circa un mese dopo quella vacanza passata insieme. Il finale invece è venuto dopo diverse riletture: ma era lì, tra le righe e l’ho dovuto cercare, spostando le parole (così come si spostano delle fronde per trovare il tracciato nascosto che ci condurrà al termine del viaggio). Riferendomi a mio figlio, ho scoperto qualcosa di me e su noi due; sul nostro destino; sono ritornato bambino nei miei luoghi, poi, un attimo dopo, ero padre e ho visto Danilo al mio fianco, seduto al mio posto; l’ho visto farsi più vecchio di me, ho sentito per sempre la sua mancanza, ho sentito la nostra morte e il nostro esserci, aleatorio ed eterno a un tempo. Quando ho trovato le parole giuste, nella giusta sequenza e mi si è parato davanti il finale, come un paesaggio, solo allora ho compreso davvero quel lago. L’ho visto come non lo avevo mai visto prima, nemmeno quando ero lì di persona, nella realtà, dove si svolgono i fatti che per lo più dimentichiamo.
Spesso la poesia è un genere letterario che fa fatica ad affermarsi. Cosa ne pensa?
Penso sia vero. È un dato di fatto. Penso che la poesia sia un’arte molto ma molto difficile nonostante credo sia la più praticata in assoluto al mondo. Questo perché la gente pensa che per scrivere poesie basti avere buoni sentimenti, scriverli con molta spontaneità se no non si è sinceri, andare a capo spesso, e se ce la vediamo brutta diventare misteriosi etc. Oscurantismo puro, insomma. Le canzoni pop alla fine hanno avuto più presa nel raccontare l’uomo e hanno preso il posto della poesia. Se per suonare e cantare sono richieste competenze tecniche, sembra che per scrivere poesie non ne richieda alcuna. Non che la poesia c’entri qualcosa con la canzone pop, affatto, anzi, ne rappresenta proprio l’opposto, ma a chi importa? Di fatto oggi vengono chieste le opinioni ai cantanti non ai poeti: oggi sono loro ad avere il mandato di raccontare l’uomo: pochi giorni fa ho sentito Vasco Rossi alla tv declamare, in risposta ad una domanda qualunque: “Viva l’amore, viva la vita, viva la musica!”. I poeti sono da qualche parte, muti. Stando così le cose, penso che l’unica azione sensata che mi rimane da fare è continuare a scrivere e basta.
A chi consiglia la lettura di Al Largo nella città (I Quaderni del Bardo)?
Lo consiglio a chiunque voglia verificare se siano ancora possibili poesie liriche capaci di sottrarsi alla scimmiottatura di altri poeti.