La parità tra euro e dollaro può impoverire l’Africa

Economia & Finanza

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Negli Stati in cui circola la moneta coloniale le ripercussioni si avranno sull’import, con un incremento dei prezzi, e sul debito pubblico. A rischio anche i Paesi con un proprio conio ma senza capacità di trasformazione delle materie prime.

di Angelo Ferrari

La parità tra euro e dollaro avrà conseguenze sull’inflazione e sul potere di acquisto delle famiglie europee, ma potrà avere ripercussioni negative anche sul continente africano.

Ciò è particolarmente vero per gli Stati la cui valuta è il franco Cfa, la cosiddetta moneta “coloniale”, perché è indicizzato all’euro. Questi Stati, quattordici, potrebbero quindi trovare più difficile ripagare il proprio debito e pagare le importazioni.

Gli esportatori, invece, dovrebbero beneficiare di questa parità valutaria. Secondo Yves Ekoué Amaizo, economista togolese e capo del Think Tank Afrocentricity, “tutti colo che esportano, ovviamente se i prezzi rimarranno stabili, saranno in una posizione favorevole perché potranno esportare di più in quantità, non necessariamente in valore monetario”.

Il mercato è preoccupato per la grave crisi energetica nel Vecchio Continente, dubita del ripristino dei flussi di gas da parte della Russia dopo l’interruzione per manutenzione del gasdotto Nord Stream 1

Gli importatori, invece, sempre secondo l’economista togolese sentito da Radio France International, constateranno che i prezzi si alzeranno sempre di più.

“E così la gente vedrà che la maggior parte di questi prezzi – che riguardano i beni di prima necessità – avranno un’incidenza negativa sulla vita quotidiana delle persone”. E le ripercussioni sociali potrebbero essere imprevedibili.

Il rincaro non riguarda solo i prezzi al consumo di beni alimentari – il cui rialzo è iniziato nel 2021 e per poi proseguire con la crisi ucraina – ma anche il carburante alla pompa.

In alcuni paesi è salito fino al 40%, come in Etiopia, ma ha riguardato anche quei paesi produttori di greggio ma che non hanno capacità di trasformazione, cioè la mancanza di raffinerie che consentono la produzione in loco dei carburanti e, quindi, sono costretti a importare il prodotto raffinato.

Anche i principali esportatori di petrolio greggio, Nigeria e Angola, dipendono dalle importazioni per quasi l’80% del loro fabbisogno di carburante. Due paesi che hanno una moneta propria e non il franco Cfa.

Le ripercussioni della crisi e della parità euro-dollaro, avrà degli effetti anche su questi paesi. Poi c’è la questione del debito, che rischia di aumentare.

“Esiste un intero sistema chiamato servizio del debito – spiega il think tank togolese -. Rimborsiamo regolarmente una parte e a seconda della tua capacità, quindi del tuo governo, sei in grado o meno di onorare questo servizio del debito. Anche il meccanismo del debito è destinato ad aumentare”.

Questo costringerà i governi a ricorrere ai donatori, in particolare al Fondo monetario internazionale. La crisi planetaria ha costretto molti paesi africani a ricorrere al Fmi per affrontare le sfide economiche e, in particolare, per scongiurare crisi sociali acute. La Tunisia sta negoziando, ma anche il Ghana.

Il presidente del Ghana, Nana Akufo-Addo, alcuni anni fa aveva annunciato, con orgoglio, la decisione del suo paese di affrancarsi dagli aiuti e dai prestiti del Fmi, questa crisi e un’inflazione galoppante che ha raggiunto la cifra record del 30%, ha costretto il paese a tornare sui suoi passi.

Una delegazione dell’Fmi, infatti, ha appena lasciato il paese dove, dal 6 luglio, ha svolto un’attività di valutazione della situazione economica e di discussione delle grandi linee del programma nazionale rafforzato del governo che potrebbero essere sostenute da un accordo di prestito dello stesso Fondo monetario.

“Il Ghana sta affrontando una difficile situazione economica e sociale in un contesto globale sempre più difficile. La situazione fiscale e debitoria è gravemente peggiorata a seguito della pandemia. Allo stesso tempo, le preoccupazioni degli investitori hanno innescato declassamenti del rating del credito, deflussi di capitali, perdita di accesso al mercato esterno e aumento degli oneri finanziari interni”, ha spiegato il capo delegazione dell’Fmi, Carlo Sdralevich. Ma non solo.

Lo shock economico globale causato dalla guerra in Ucraina sta colpendo il Ghana in un momento in cui il paese si sta ancora riprendendo dallo shock pandemico, con margini di manovra limitati.

Questi sviluppi negativi hanno rallentato la crescita economica, aumentato l’accumulo di fatture non pagate, un ampio deprezzamento del tasso di cambio e a un’impennata dell’inflazione.

Anche il Ghana ha una moneta propria, è uno dei maggiori produttori di cacao, ma non ha capacità di trasformazione. La parità euro-dollaro si inserisce in questo contesto e potrebbe aggravarlo ulteriormente.

La discussione in atto tra Fmi e Ghana riguarda un pacchetto di riforme completo per ripristinare la stabilità macroeconomica e ancorare la sostenibilità del debito. Ma è pur vero che far ricorso ai prestiti del Fondo monetario significa fare debito, i prestiti vanno restituiti.

Dai momenti di crisi i governi, se sono virtuosi, possono trarne beneficio, possono rappresentare un’opportunità per gli Stati di migliorare le proprie prestazioni logistiche e sviluppare i settori locali. Cioè andare verso quella diversificazione economica che, per molti paesi, rimane solo sulla carta.

Se torniamo a paesi come la Nigeria e Angola, i principali produttori di petrolio, vediamo plasticamente che fanno affidamento quasi esclusivamente sull’esportazione delle materie prime, mentre la sicurezza alimentare rappresenta sempre un fattore di rischio perché dipende in maniera quasi esclusiva dalle importazioni dei generi di prima necessità.

C’è da augurarsi che questa crisi globale serva ai paesi africani da volano per ristrutturare le economie e andare con decisione sulla strada della diversificazione economica implementando, in particolare, l’agricoltura e l’industria di trasformazione.

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