L’Italia e il voto, in autunno le pagelle del rating

Economia & Finanza

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Moody’s si pronuncerà cinque giorni dopo le urne, il 30 settembre, e il 21 ottobre sarà la volta di S&P.

di Riccardo Bastianello

 Valutazione Fitch – afp

 

AGI – Dopo la crisi di governo e lo scioglimento delle Camere con le inevitabili incertezze connesse al futuro dell’economia, è arrivato il giudizio di due società di rating sul nostro paese. Ma, come si dice, gli esami non finiscono mai.

E l’Italia resta sorvegliato speciale in questa fase politica molto delicata, dovendo convincere la comunità finanziaria internazionale di essere in grado di tenere fede ai suoi programmi di sviluppo. Il risultato delle urne del 25 settembre prossimo avrà subito dopo il primo banco di prova: Moody’s si pronuncerà infatti sul nostro rating appena cinque giorni dopo, il 30 settembre e a seguire, il 21 ottobre, sarà la volta di S&P. Dopo nemmeno un mese, il 18 novembre, Fitch si esprimerà sulla sostenibilità del nostro rating. Insomma, non bisognerà attendere molto per la ‘pagella’ delle ‘tre sorelle’ – così come vengono comunemente chiamate nel mondo finanziario le agenzie internazionali di rating – che ha un significato molto importante per capire lo stato di salute della nostra economia.

La politica e l’outlook

L’ultima in ordine di tempo a dare il suo giudizio sull’Italia (e sul suo debito) è stata Moody’s che ha comunicato di aver confermato il grado Baa3 ma di aver rivisto al ribasso l’outlook che passa da stabile a negativo. Un peggioramento dettato dalle incertezze legate alla crisi di governo e alla sua capacità di tener fede ai piani del Pnrr e in ultima analisi di risolvere alcuni problemi storici. Pochi giorni prima, a fine luglio, a parlare era stato S&P e anche in questo caso aveva confermato il grado BBB/A-2 ma aveva ritoccato in chiave peggiorativa l’outlook che era passato da positivo a stabile per le stesse ragioni.

Com’è fatto il rating

Il rating è fondamentalmente composto di due parti: il rating vero e proprio ovvero il “giudizio” e l’outlook che invece è una previsione sulle prossime evoluzioni. Si tratta di una sorta di “bollino di qualità” che certifica la solidità finanziaria di un’azienda o di un Paese, chiarisce se i fondamentali sono solidi o meno, se l’ente sarà in grado di onorare il suo debito, mostra le prospettive di sviluppo. Va da sé quindi che il rating influenzi non poco l’andamento del mercato obbligazionario e non solo visto che qualsiasi investitore lo visiona prima di comprare un bond (che non è altro che una quota di debito venduta ad un investitore, che la compra dietro la promessa di un rendimento più o meno sostanzioso).

Si tratta quindi di una “pagella” che ha inevitabili ripercussioni in larga parte dell’economia di un Paese, a maggior ragione se ad alto indebitamento come l’Italia (non va dimenticato che alla fine del primo trimestre dell’anno il rapporto debito/Pil italiano è salito 152,6%).

Le “tre sorelle”

Da qui il timore con cui si attende il giudizio delle “tre sorelle”, ovvero Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. Quest’ultima lo scorso maggio aveva confermato rating e outlook all’Italia ma si deve ancora esprimere dopo la crisi di governo che ha inevitabilmente complicato la scenario politico ed economico del Paese.

Analizzando lo storico dei rating si nota che da metà anni ’80 a gennaio 2012 l’Italia aveva visto solo lettere A che la posizionavano sui massimi delle scale di ogni singola agenzia di rating. La serie si interrompe per la prima volta il 13 gennaio 2012 con la Bbb+ e outlook negativo di S&P. A capo dell’esecutivo c’era Mario Monti e l’Italia faceva in conti con uno spread tra Btp-Bund a 531 punti.

Le classificazioni

Pochi mesi più tardi, a luglio, anche Moody’s declassa l’Italia a Baa2 con outlook negativo e così l’anno successivo, a marzo 2013, anche Fitch che parla di Bbb+ e oulook negativo. Da allora il Paese non ha più rivisto lettere A e continua ad oscillare tra la parte alta e la parte centrale del grado B.

Ma queste letterine, che all’apparenza sembrano innocue, indicano in realtà precisi standard di qualità, e hanno alcune differenze tra di loro. Non solo, ma anche le ‘tre sorelle’ hanno un diverso standard di classificazione. Alla base del rating a lungo termine, al primo posto della scala di valori c’è la AAA (promozione a pieni voti, massima stabilità ed affidabilità, un giudizio riservato, per intenderci, a Paesi come la Germania, il Cadada o la Svizzera); segue AA+ oppure Aa1 nel caso di Moody’s; a seguire AA e AA- per S&P e Fitch (oppure Aa2 e Aa3 per Moody’s) e, ancora, A+, A e A- per S&P e Fitch (A1 A2 e A3 per Moody’s).

Segue poi il rating B, da BBB (le finanze sono momentaneamente soddisfacenti) a B (situazione economica variabile). Quindi, il rating C (che indica il grado di vulnerabilità). Il D sta a significare il massimo rischio di default. Questi ultimi due gradi indicano anche i temuti “junk”, ossia titoli spazzatura, che preannunciano il ‘fallimento’ finanziario di un paese.

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