In Italia c’è un calo degli aborti e un boom della pillola del giorno dopo

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Dopo le polemiche innescate da un post di Chiara Ferragni, ecco i numeri delle interruzioni di gravidanza diffusi dal Ministero della Salute-

di Paolo Giorgi

© Lemoine / Agf – La pillola abortiva

 

AGI – In continuo calo le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia: dal picco di 234.801 del 1983 in discesa fino alle 66.413 del 2020, dato più aggiornato e contenuto nella relazione del ministero della Salute al Parlamento pubblicata a giugno scorso e aggiornata, appunto, al 2020.

Un calo del 9,3% rispetto al 2019 registrato in tutte le aree geografiche del Paese, specie nell’Italia Meridionale e insulare. Rispetto al 2019, le Regioni in cui si è osservata una riduzione maggiore nel numero assoluto di aborti sono Valle d’Aosta, Basilicata, Sicilia, Puglia, Lombardia e Sardegna.

Le interruzioni volontarie di gravidanza (Igv) diminuiscono soprattutto tra le giovanissime, mentre i tassi più elevati restano nelle donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Un trend in diminuzione, osserva il ministero, che “potrebbe essere in parte riconducibile all’aumento delle vendite dei contraccettivi di emergenza a seguito delle tre determine AIFA che hanno eliminato l’obbligo di prescrizione medica per l’Ulipristal acetato (ellaOne), noto come “pillola dei 5 giorni dopo” e per il Levonorgestrel (Norlevo), noto come “pillola del giorno dopo”.

Gli obiettori di coscienza

Ma i temi più controversi, all’ordine del giorno anche in questa campagna elettorale, riguardano l’accesso all’aborto, con la questione di grande portata dei medici obiettori di coscienza. Un dato anche questo in calo, ma che rimane molto elevato: il 64,6% dei camici bianchi si rifiuta per motivi religiosi o morali di praticare aborti, quasi due su tre (erano il 67% nel 2019). Obiezione di coscienza che riguarda anche gli anestesisti (per il 44,6% del totale) e il personale non medico (36,2%).

Cifre che si ripercuotono nell’effettiva fruibilità dell’intervento garantito dalla legge 194 da parte delle donne italiane: secondo una ricerca presentata a maggio alla Camera dall’Associazione Luca Coscioni, su oltre 180 ospedali e consultori che dovrebbero garantire l’interruzione volontaria di gravidanza, ci sono 31 strutture con il 100 per cento di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e assistenti sanitari ausiliari.

Considerando anche le strutture con una percentuale superiore al 90 per cento si arriva a 50, e si sale a 80 contando quelle con un tasso di obiezione superiore all’80 per cento. In quasi metà delle strutture esaminate, insomma, abortire è pressochè impossibile.

Altra questione, l’utilizzo della pillola abortiva Ru486, approvata in Italia ormai dieci anni fa tra mille polemiche e utilizzata a singhiozzo negli ospedali, malgrado la somministrazione precoce eviti i rischi operatori. Tuttavia, secondo l’ultima relazione del ministero, il suo utilizzo sta crescendo: nel 2020 il 35,1% degli interventi sono stati effettuati con metodo farmacologico: la pillola Ru486 è stata adoperata nel 31,9% dei casi, rispetto al 24,9% del 2019 e al 20,8% del 2018. Con enormi differenze regionali però: si passa dall’1,9% di aborti farmacologici in Molise a oltre il 50% in Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Basilicata.

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