Lo stallo politico della Bulgaria nell’ombra del Cremlino

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L’ex premier Borisov – Uscito dalle urne con una vittoria di Pirro se non riuscirà a formare una credibile alleanza di governo – lo ha detto chiaramente: “Il tema più importante è chi sta con Putin e chi no”

di Roberto Brunelli

AGI – È la parola “caos” il tormentone delle ultime settimane in Bulgaria. E “Più forti del caos” era lo slogan di Boiko Borisov e del suo partito di centro-destra, il Gerb, nella campagna elettorale con un convitato di pietra, residente al Cremlino, la cui ombra si è stagliata sull’elezione numero quattro in soli 18 mesi.

D’altronde, uscito dalle urne con quella che rischia di essere una vittoria di Pirro se non riuscirà a formare una credibile alleanza di governo, l’ex premier Borisov, il cui partito in Europa fa parte del Ppe, lo ha detto chiaramente: “Il tema più importante è chi sta con Putin e chi no”.

Il Gerb (il nome significa ‘cittadini per una Bulgaria europea’) ha ottenuto il 25% dei voi promettendo di avere la meglio sull’inflazione, di seguire la linea dell’Alleanza atlantica e dell’Unione europea e di portare la Bulgaria ad introdurre l’euro entro il 2024.

Ma trovare degli alleati di governo per un programma del genere appare tutt’altro che semplice, mentre la coalizione uscente (formata dal Pp-Continuiamo il cambiamento, dai socialisti e dall’alleanza conservatori-verdi-liberali Db) non supera il 37% dei consensi, con ciò mancando nettamente una plausibile maggioranza.

Il problema, ad oggi, è che il Pp (che ha portato a casa un risultato del 20,2%) dell’ex premier Kiril Petkov ed i suoi alleati del Db hanno già fatto sapere di rifiutare con decisione le profferte di Borisov, accusato di aver messo in atto “pratiche corrotte” durante il suo mandato conclusosi nell’aprile 2021.

Da parte sua, per convincere le controparti a sedersi ad un tavolo, Borisov ha annunciato un passo di lato: non si propone né come premier, né come ministro. Ma la situazione politica è forse ancora più intricata di quanto lo fosse prima delle dimissioni di Petkov: dopo soli sette mesi era stato mandato a casa da un voto di sfiducia seguito a manifestazioni di massa, anche sulla scorta delle tensioni scatenate nel Paese dai rapporti difficili con la Russia.

Gli osservatori concordano: l’invasione dell’Ucraina ha reso ancora più profonda la spaccatura tra i “russofili” e gli avversari di Mosca all’interno della società bulgara. Per motivi storici (ai tempi della cortina di ferro, la Bulgaria era considerata il Paese più vicina all’Unione sovietica), e tutt’oggi qui la percentuale di chi mostra simpatie con la Russia putiniana è la più alta dell’Ue, con almeno tre partiti – la “Rinascita” di stampi nazionalista, i socialisti del Bsp ed il neonato “Ascesa Bulgara” – considerati de facto russofili.

Come ricorda il think-tank Ips (International Politics and Society), i politici che battono il chiodo della “pragmatismo” e della “neutralità” nel confitto in Ucraina, opponendosi a qualsivoglia forma di assistenza militare a favore di Kiev, vanno dalla sinistra agli ambienti del nazionalismo bulgaro.

Questo mentre i partiti tradizionali di destra, così come anche i nuovi arrivati del campo politico bulgari del partito “Continuiamo il cambiamento” spingono per un posizionamento chiaramente atlantista e pro-europeo, contrario a qualsivoglia accomodamento con il Cremlino.

In tutto questo, come ricorda sempre Ips, anche i rapporti con il colosso russo Gazprom è stato tema di scontro: dal presidente Rumen Radev al Gerb, passando anche dal partito socialista, in molti sono stati accusato di aver cercato di negoziare nuove forniture dalla compagnia di Stato russa, con ciò propagando all’infinito la dipendenza energetica da Mosca.

Il sospetto di agire “dietro le quinte”

Il sospetto è quello di agire “dietro le quinte” per segretamente proteggere gli interessi di Mosca. Di contro, alla destra e a “Continuiamo il cambiamento”, il partito dell’ex premier Petkov, viene rimproverato di ignorare l’impatto sociale ed economico di una probabile carenza di gas e similari nel prossimo inverno. Un intreccio quantomai intricato, considerato che ufficialmente nessuno partito sostiene Mosca.

Qualcuno si limita a notare che il governo Petkov, prima di ritrovarsi dimissionario, aveva espulso dal Paese 70 diplomatici russi dopo che Gazprom aveva chiuso il rubinetto del gas nello scorso aprile. Uscire da questo labirinto politico è tutt’altro che semplice.

“Abbiamo promesso che non ci alleeremo con il Gerb e manterremo la parola”, ha scandito Petkov dopo il responso delle urne. Fino alla formazione di un nuovo esecutivo, sarà in carica un governo di transizione. Un’opzione per Borisov, commentano i media locali, potrebbe essere di cercare una coalizione con il partito della minoranza turca, che ha ottenuto il 15% dei voti, esattamente come altre due formazioni ‘tendenzialmentè pro-russe.

“La situazione è la stessa di quella emersa dalle precedente elezioni, se non addirittura più complicata”, ha detto all’emittente Btv il politologo Daniel Smilov del Centro per le strategie liberali, dato che coalizioni precedentemente ancora papabili “oggi non sono più possibili”.

I negoziati saranno molto lunghi

I commentatori concordano nel prevedere “negoziati molto lunghi” tra le forze politiche, qualcuno ipotizza altre – le ennesime – elezioni anticipate. In questo momento è di nuovo Borisov a dare le carte: non facile, dato che finora ha perseguito la via quasi impossibile di un equilibrismo nei rapporti con l’Ue da una parte, con la Russia dall’altra, e con la Turchia a fare da terzo lato di una quadratura impossibile. “Io sono per l’affermazione della ragione, e sono aperto a dialogare con tutti coloro che vogliono difendere il posto della Bulgaria nell’Ue e nella Nato”, ha scandito l’ex premier.

Questo in una situazione di estrema disaffezione, per non dire apatia, dell’elettorato: la partecipazione al voto di domenica scorsa è stata straordinariamente bassa, solo un elettore su otto si è recato alle urne. Non aiuta il fatto che Borisov è una figura a dir poco controversa.

Ex pugile nonchè guardia del corpo (in questa veste aveva servito anche per l’ultimo presidente dell’era sovietica, Todor Zhivkov), chi lo sostiene ricorda gli investimenti nelle infrastrutture e negli ospedali ed il suo buon posizionamento nel Ppe, chi lo avversa tira chiama in causa il sistema clientelare, personalistico e corrotto che l’avrebbe mantenuto al potere.

Una possibile via d’uscita dall’impasse potrebbe essere un governo formato da tecnici e politici non di primo piano: una specie di esecutivo “di salvezza nazionale” per far fronte alle conseguenze legate all’instabilità globale causata dalla guerra in Ucraina, dall’esplosione dei prezzi e dalla crisi energetica.

Motivo per cui i commentatori a proposito del risultato di Borisov parlano di “vittoria triste”, e non solo perchè sempre meno bulgari si recano alle urne: a detta degli analisti, non è troppo azzardato immaginare che l’impoverimento di grandi strati della popolazione a seguito della crisi energetica e dell’inflazione possa provocare “disordini sociali e onde di protesta”.

L’altro scenario possibile è quello di uno scivolamento verso una repubblica presidenziale, con il capo dello Stato Radev – considerato tendenzialmente pro-russo – che potrebbe trovarsi a nominare un governo ad interim dopo l’altro senza dover garantire una maggioranza politica.

Detto altrimenti, molti ritengono – tra questi la politologa Vessela Cerneva – che “l’insicurezza permanente” che caratterizza la vita politica della Bulgaria rischi di svuotare la democrazia parlamentare e di spostare i rapporti di forza in direzione Cremlino. Di sicuro, qui non manca chi sogna il ritorno di un filo rosso che unisca Sofia e Mosca.

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