Dall’Iran alla Russia: dove sono limitate le Vpn (e perché sono un indicatore della libertà)

Economia & Finanza

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Blocchi o freni alle reti virtuali private sono in vigore in 18 Paesi, con leggi sfumate che permettono di irrigidire la censura nei momenti più tesi (come la guerra e le proteste)

di Paolo Fiore

AGI – Sicurezza, privacy, libertà di comunicare. Ogni volta che un regime stringe i suoi lacci, non si limita a controllare Internet ma vuole anche bloccare i suoi tunnel sotterranei, le Vpn. È quello che sta succedendo in Iran. È quello che è già successo in Cina, Russia, Corea del Nord, Turchia. Secondo gli specialisti in cybersicurezza di Comparitech, a oggi sono vietate o limitate in 18 Paesi.

Vpn sta per Virtual Private Network, cioè Rete virtuale privata. È un servizio che permette di connettere dispositivi in modo riservato. Immaginiamo Internet come una piazza affollata. In una navigazione “pubblica”, la attraversiamo per raggiungere il bar. Se invece volessimo arrivare al bancone in modo più discreto, percorreremmo una galleria “privata”, scavata sotto la piazza. Ecco, quella è la Vpn. Non è la via più comoda: è a pagamento e consumano più dati. E allora perché usarla? Per comunicare in modo riservato, ad esempio tra dipendenti della stessa azienda; per accedere – ovunque – a servizi attivi solo in alcuni Paesi. Oppure, quando in piazza iniziano a esserci troppi controlli, per aggirare i regimi autoritari. Che però, a fasi alterne, tendono a intensificare i controlli sui tunnel. A volte tappandoli o distruggendoli; altre volte piazzando posti di blocco all’ingresso.

Iran, repressione e minacce

Secondo la Ong Iran Human Right, le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini sono state represse con oltre 240 morti e 12.500 arresti. Le voci dei dissidenti hanno viaggiato sulle Vpn, per poter comunicare con maggiore libertà sia all’interno del Paese che con l’estero.

In Iran le Vpn sono formalmente legali, ma con una limitazione enorme: il fornitore dei servizi – che negli anni sono diventati sempre più costosi per scoraggiarne l’uso – deve essere registrato e autorizzato dal governo. Ma non basta. Nel 2020, il governo aveva già proposto una legge che allargava il controllo dai provider agli utenti, che per usare una Vpn avrebbero dovuto dichiarare l’utilizzo che intendevano farne e ricevere un’autorizzazione. Quella legge non è stata attuata, ma nei momenti di tensione riaffiora. Lo scorso marzo, una nuova proposta puntava a introdurre due anni di detenzione per gli utenti e dieci anni per i fornitori di servizi che infrangessero le regole.

Sembra andare in questa direzione l’attuale governo: “La vendita di strumenti di elusione non è consentita, ma sfortunatamente non è stata criminalizzata. Si sta lavorando per farlo”, ha affermato il ministro delle Telecomunicazioni Issa Zarepour alla televisione di Stato. È la reazione a questi numeri: secondo il sito Top10VPN, nei giorni successivi al ban di Whatsapp e Instagram – il 22 settembre – la richiesta di Vpn in Iran è aumentata di oltre il 2000% rispetto alla media del mese precedente. Mentre minaccia una legge repressiva, l’Iran ha già intensificato i controlli, setacciando Internet e bloccando le reti private non autorizzate. I tunnel vengono fatti saltare in aria.

La Cina e il “Grande Firewall”

Secondo la classifica “Freedom on the net 2022” della Ong statunitense Freedom House, la Cina è il Paese con la navigazione meno libera al mondo. E tra le causa di un giudizio così severo ci sono le restrizioni alle Vpn.

Il Paese cerca di mantenersi in equilibrio tra la censura interna e l’apertura verso i mercati internazionali. Non c’è quindi un divieto assoluto, ma sono legali solo i servizi autorizzati dal governo. Per i privati cittadini, l’utilizzo lecito delle Vpn è relegato soprattutto a scopi didattici o scientifici.

Dopo il varo del “Great Firewall” e l’esclusione dei servizi occidentali come Google, Youtube e Facebook, l’uso delle Vpn era diventato molto popolare. E così, nel 2017, il governo ha tirato il freno. Da allora, centinaia di applicazioni sono state intercettate, chiuse o escluse dall’Apple Store cinese. Il blocco non è integrale, ma – sottolinea Freedom House – in genere “si intensificano prima di eventi di alto profilo, come la sessione plenaria del Partito comunista cinese”.

Nel novembre 2021, la Cyberspace Administration of China (l’organizzazione che regola Internet) ha diffuso la bozza di un nuovo regolamento che punisce con multe salate chi fornisce strumenti utili ad aggirare le restrizioni di Stato (come le Vpn). In parallelo, il governo ha tentato di aprire nuovi tunnel virtuali per incoraggiare le imprese estere in Cina: dal 2020, i provider esteri possono fornire Vpn ad aziende che investono a Pechino, ma solo attraverso una joint venture minoritaria o paritaria con una società cinese. Come a dire: è possibile, ma solo se a guidare siamo noi. Non sempre i tunnel vengono distrutti, ma si prova a controllarli tutti.

Russia, tra divieti e guerra

Nel 2017, Putin ha vietato l’accesso ai siti web non autorizzati e l’utilizzo di strumenti per raggiungerli, Vpn incluse. Nonostante alcune cause e chiusure, la norma è stata a lungo usata più come arma preventiva che repressiva. Nel 2019, alcuni provider hanno lasciato il Paese come risposta all’obbligo di utilizzare server locali (quindi più facilmente controllabili da Mosca).

Le Virtual Private Network continuano a essere usate, ma con sempre maggiore difficoltà. Nell’estate 2021, Roskomnadzor – l’autorità russa che controlla le telecomunicazioni – ha bloccato oltre venti Vpn e chiesto (con successo) a Google di rimuovere dai risultati di ricerca i link che rimandano ai servizi ritenuti illegali. Nonostante la stretta, il ricorso alle Vpn in Russia si è moltiplicato con la guerra: secondo i dati di Apptopia riportati dal Washington Post, i 15mila utenti medi quotidiani sono diventati 475mila a marzo e 300mila a maggio. I tunnel sono formalmente chiusi ma in realtà non sono mai stati così affollati.

I blocchi nel mondo

Non solo Iran, Cina e Russia. Dal 2021, la giunta militare del Myanmar ha imbrigliato Internet, provocando una decisa impennata delle Vpn. All’inizio del 2022, un disegno di legge sulla cybersicurezza proponeva di bandire le reti virtuali private e autorizzava le forze dell’ordine a ispezionare i dispositivi dei cittadini per verificare l’uso di piattaforme o servizi illegali. Nonostante la legge non sia mai entrata in vigore ufficialmente,alcune fonti hanno riportato la sua attuazione di fatto.

In India non c’è un bando, ma una recente legge spoglia le Vpn di una delle loro caratteristiche: la riservatezza. I provider sono infatti costretti a fornire i dati identificativi degli utenti. Per tutta risposta, alcuni fornitori esteri hanno lasciato il Paese, impoverendo la possibilità di scelta dei cittadini.

Le Vpn sono vietate, limitate o sono state bloccate temporaneamente anche in Bielorussia, Corea del Nord, Emirati Arabi, Giordania, Iraq, Oman, Pakistan, Sri Lanka, Turchia, Turkmenistan, Uganda, Uzbekistan e Venezuela.

Le Vpn come termometro della libertà online

Nella maggior parte dei casi, si tratta di norme scivolose e interpretabili, perché non citano esplicitamente le Vpn ma – più in generale – i servizi utilizzabili per aggirare la legge. Tenere il perimetro così ampio e sfumato non è un caso: permette un’applicazione fluida. Pene e multe vengono utilizzate come deterrente o per ammonire nei momenti di relativa tranquillità, con rigore e per reprimere in quelli più tesi. Come dimostrano la guerra in Ucraina e le proteste in Iran, s’innesca così il “circolo delle Vpn”: quando la censura si stringe, spinge all’utilizzo delle reti virtuali private, che a sua volta genera un ulteriore irrigidimento censorio. Ecco perché le Vpn non sono solo uno strumento: sono anche un indicatore della libertà di Internet.

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