Midterm 2022, il voto della pandemia dei prezzi

Economia & Finanza

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L’8 novembre le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, le più costose della Storia . Biden: “Possiamo vincere ma se perdiamo la Camera e il Senato i prossimi saranno due anni terribili”. Trump verso la ricandidatura per le presidenziali del 2024: possibile l’annuncio il 14 novembre. Obama in Pennsylvania: ” Votate chi lotta per voi “
Urne per le elezioni di midterm

 

AGI – Le elezioni del 2016 furono dominate dal ritorno de ‘l’uomo dimenticato’ (e a sorpresa vinse Trump); nel 2018 il voto di Midterm fu il tentativo dei Dem di ribaltare The Donald con lo slogan “for the people” (e finì che fu la prima volta dal 1970 che il partito del presidente guadagnò voti al Senato pur perdendo la Camera); nelle presidenziali del 2020 il campo da gioco fu occupato dal ‘China virus’ (così disse Trump) e dal voto postale di massa (e vinse Biden); nell’elezione di Midterm del 2022 il tema chiave si chiama inflazione e presto scopriremo chi ha vinto e chi ha perso al banco del denaro.

Il voto dell’8 novembre è il primo dopo la crisi del coronavirus negli Stati Uniti, il Covid-19 non è più in cima all’agenda delle famiglie e delle imprese. Le preoccupazioni sono altre: la galoppata dei prezzi, l’aumento dei mutui per la casa, la criminalità e l’immigrazione (uno dei punti centrali del comizio di Trump in Iowa), i test negativi di apprendimento dei bambini e degli adolescenti causati dai lockdown nelle scuole durante la pandemia.

Buona parte di questi problemi sono stati innescati dalle misure di contrasto alla pandemia, dalle politiche ‘autarchiche’ della Cina e dalle decisioni coordinate delle petro-monarchie sulla produzione (e dunque il prezzo) del petrolio nel boom post-pandemico: l’inflazione americana è all’8,2% ma non è solo una reazione allo shock energetico, è l’effetto delle catene spezzate (e mai riparate) di approvvigionamento e domanda durante i lockdown.

Non è il mondo di ieri, non è il passato, è un altro capitolo dello stesso romanzo, perchè le conseguenze inattese continuano anche oggi: in Cina, la fabbrica del mondo, la bio-politica è fonte di continuo stop produttivo e segregazione di milioni di persone. La fabbrica Foxconn, vitale per la produzione di iPhone, è aperta nonostante il lockdown imposto dal 2 al 9 novembre nella zona di Zhengzhou, ma questa apertura è una distopia: i dipendenti non possono nè entrare nè uscire dallo stabilimento, lavorano in quel che si chiama ‘closed-loop’, una bolla isolata da tutto e da tutti.

La Zero-Covid Policy è stata confermata, incorporata nel terzo mandato di Xi Jinping, che l’ha usata per regolare i conti con i nemici interni nel partito comunista cinese. Gli Stati Uniti – l’intero Occidente – dipendono oggi dalle bizzarrie asiatiche di questa ‘start-stop economy’ e il risultato è lo spezzettamento delle forniture, l’indisponibilità non solo di prodotti finiti, ma di materie prime e semilavorati.

Se la domanda resta alta (e lo è, l’economia americana nonostante tutto ancora va, i 261 mila nuovi posti di lavoro creati in ottobre ne sono la prova), il risultato è un aumento dei prezzi. Il problema è che nonostante gli aumenti dei tassi, niente appare davvero sotto controllo e Jay Powell, presidente della Fed, ha davanti un enorme rompicapo. Il numero uno della banca centrale americana sta cercando il ‘soft landing’ dell’economia, ma lo scenario sembra quello di un aereo che continua a prendere quota per poi improvvisamente finire in picchiata di fronte all’insostenibile leggerezza dell’essere sulla via della recessione.

Ciò che è dimenticato (il virus) continua in realtà a propagarsi in altra forma, nell’economia e nel comportamento sociale (pensate al trauma subito dagli adolescenti durante i lockdown, non è solo una questione di test di apprendimento, c’è molto altro ed è profondo). C’è un’altra epidemia. La ‘cura’ per l’altro virus, quello dell’inflazione, è la pillola della Federal Reserve: il rialzo dei tassi.

Il problema è che la medicina dovrà essere assunta in dosi massicce e gli effetti collaterali (il rallentamento dell’economia) sono imprevedibili. Al momento del voto, i prezzi corrono come un dragster, qui nel Sunshine State l’impatto è nella spesa di ogni giorno, qualsiasi bene primario, il carrello della spesa americana, fa salire il conto della carta di credito, l’inflazione si è propagata ovunque: in un sondaggio della University of South Florida il 65% degli intervistati dice che l’inflazione ha ridotto la loro capacità di far fronte alle spese essenziali, mentre il 67% afferma di aver messo mano ai risparmi. Questo è il problema di Biden, questo è lo scenario del voto di Midterm.

Adam Shapiro, economista della Federal Reserve Bank di San Francisco, in uno studio citato dal Financial Times spiega come quasi tre quarti dell’inflazione di base è causata delle interruzioni delle catene di produzione, distribuzione e domanda. L’impennata dei prezzi è figlia della crisi del coronavirus, non (solo) dello shock energetico.

Biden all’inizio della guerra ha provato a spostare il problema scaricando l’innesco dell’inflazione sulla guerra in Ucraina (l’inflazione di Putin) ma il ‘diversivo’ è durato poco, sul piano della comunicazione non è efficace: per gli americani quel conflitto non solo è lontano, non solo non fa parte della reale agenda degli elettori, ma viene guardato con crescente diffidenza perchè costa e con la recessione (e i licenziamenti) in arrivo ogni dollaro speso (bene o male) dal governo entra anche nelle urne.

Gli analisti sanno che l’emergenza pandemica ha una ‘coda lunga’, alcuni non si spiegano come non se ne parli. In realtà ci sono anche scelte di fondo dell’amministrazione Biden che hanno creato grandi aspettative (e dunque inflazione). La scelta di mantenere in piedi i sussidi nonostante la ripresa della domanda ha una ragione politica (provare a mantenere un po’ di consenso, tuttavia i sondaggi sul gradimento per la Casa Bianca restano ai minimi storici) ma alla fine il conto è salato.

Che conto? Bastano un paio di numeri per capire come il voto di Midterm sia un appuntamento da salto senza rete per l’amministrazione Biden. Sondaggio Cnn del 2 novembre scorso, tra i tanti, bastano questi tre numeri: – 42%. è il gradimento sul lavoro del presidente Biden espresso dagli elettori americani. In calo rispetto al 46% dei sondaggi di settembre e inizio ottobre; – 61%. è la percentuale di elettori che afferma che Biden ha completamente sbagliato la priorità dell’agenda, un numero che per un politico è una bocciatura netta, un presidente “out of touch” di solito è destinato a perdere; – 51%. è il numero di elettori che pensano che l’economia sia il tema principale, non i diritti, non l’aborto, non “la democrazia in pericolo”, cioè tutti gli argomenti che abbiamo sentito durante i comizi dei democratici, da Biden a Obama.

E per queste ragioni Chris Cillizza di Cnn ricorda che siamo nel pieno di un’elezione da “It’s the economy, stupid”, la frase pronunciata da James Carville, consigliere di Bill Clinton, durante la vittoriosa campagna presidenziale del 1992 contro George H.W. Bush. La domanda sul taccuino di Biden è quella del compagno Lenin: che fare? Ormai non resta che aspettare l’8 novembre. Sarà onda rossa o sorpresa blu?

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