L’Antiquario di Antiochia, la città distrutta crocevia delle religioni

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Viaggio nella città colpita dal terremoto del 6 febbraio scorso. Un solo negozio aperto in tutto il centro storico. Soltanto i gatti sembrano a loro agio tra i cumuli di macerie

di Giuseppe Didonna

© Giuseppe Didonna – Agi – La moschea distrutta

 

AGI – “Prego, il negozio è aperto, vieni pure dentro che ti offro un the”. Serkan l’antiquario compare all’improvviso, seduto su un divano piazzato a bordo strada dove prepara caffè e the per i militari a presidio delle macerie del centro storico di Antiochia, una delle città più colpite dal sisma che ha devastato il sud della Turchia lo scorso 6 febbraio.

Un’apparizione improvvisa che lascia di stucco dopo centinaia di metri di devastazione che ha reso irriconoscibile uno dei centri storici più belli e antichi di tutta la Turchia. “Casa mia ha resistito, il negozio è andato sotto sopra ma piano piano sto rimettendo a posto tutto”, dice Serkan. Mentre io faccio ancora fatica a realizzare se quest’incontro sia o meno frutto della mia immaginazione, considerata la totale desolazione che il sisma ha lasciato in città.

Serkan è un antiquario, è forse l’unico di tutto il centro storico a mantenere il negozio aperto, nonostante in giro ci siano solo poliziotti, soldati e squadre di ricerca. Mi accoglie con un sorriso dei giorni migliori, nonostante per Antiochia il momento sia a dir poco drammatico.

“Vieni, ti faccio vedere i miei libri” dice mentre tira fuori un enorme manuale di medicina francese d’inizio 900, soffiandoci sopra per far andare via la polvere. Ogni passo è accompagnato dallo scricchiolare di cocci di ceramiche e vetri rotti, finiti per terra durante le scosse di terremoto.

“Dovrei avere qualcosa in italiano.. aspetta..” dice senza curarsi delle numerose crepe sui muri che invece attirano la mia attenzione più della collezione di libri antichi.

“Non ti preoccupare è solo lo stucco” dice sorridendo. “Guarda…” e tira giù un pezzo di intonaco che alza una nuvola di polvere rivelando la struttura in pietra della casa antica.

“Queste sono pietre enormi, non le butti giù mai” e torna il sorriso enorme che non faccio fatica a realizzare essere il primo in 10 giorni, da quando mi trovo sul luogo di un disastro che la Turchia non rimarrà mai.

“Non trovo il libro in italiano, ma aspetta, ho un’altra cosa”, apre una credenza in legno finemente intagliato d’inizio secolo che, specifica, viene da Damasco e tira fuori due brocche.

“Vetro di Murano, guarda, italiano come te, solidissimo, come nuovo”, e torna quel sorriso enorme che non può non mettere di buon umore. “Ti faccio vedere un’altra cosa” lucida uno specchio con uno straccio tirato fuori dal taschino.

“Questo viene dall’Iran, è stato fatto prima della rivoluzione, l’interno ha una copertura in oro, quando ti specchi diventi più bello, prova” e fa cenno con la mano ad avvicinarmi. Mi specchio, mi guarda e dice: “Vedi, sei molto più bello ora” e mi accorgo che il suo buonumore mi ha contagiato, lo specchio riflette il mio sorriso, il primo in tutti i giorni trascorsi nell’area del disastro.

Chiedo a Serkan di fare un giro in una città che un tempo conoscevo bene e in cui ora faccio fatica a orientarmi, nonostante i ricordi del recente passato.

Militari si aggirano per le strade e fanno cenno di non voler essere fotografati, i gatti sembrano gli unici a proprio agio tra i cumuli di macerie di palazzi e case antiche che sono solo un ricordo. Sembrano gli unici, perché poi compaiono persone tornate su ciò che resta delle loro abitazioni per cercare di tirare fuori qualche vestito, ricordo o oggetto prezioso.

Serkan mi conduce nei luoghi che per decenni hanno caratterizzato la vita del centro storico di Antiochia. Un vita che non pulsa più, ferma ad alcune istantanee visibili nella caffetteria, nel forno ormai abbandonato dove tutto il quartiere venivano a prendere il pane ogni giorno, in quella che un tempo era una pasticceria dove numerose volte sono stato seduto a scrivere e mettere a posto fotografie.

Ma Antiochia è anche, da sempre, un crocevia di religioni e culture che il sisma ha colpito senza distinzione. “Guarda qua c’è la sinagoga, dentro è tutto distrutto”, dice Serkan che poi saluta Kalef, ebreo sefardita giunto da Istanbul per raccogliere ciò che è rimasto all’interno.

“Qui siamo tutti fratelli, ad Antiochia la distinzione tra religioni non è mai esistita, abbiamo sempre vissuto uno a fianco all’altro” dice Serkan dopo aver abbracciato Kalef che annuisce.

E a conferma di queste parole una antica moschea e una chiesa cattolica, a poche decine di metri l’una dall’altra, tutte danneggiate.

“Ricostruiremo tutto, non dubitare, Antiochia tornerà più bella di prima” dice Serkan con il suo sorriso contagioso. Ed è impossibile non credergli, anche se tutt’intorno il terremoto ha portato via uno dei centri storici piu’ belli di tutta la Turchia.

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