La premier Meloni andrà ad Addis Abeba giovedì 13 aprile, accompagnata da alcuni ministri e da imprenditori italiani, per mettere a terra, in Etiopia, il cosiddetto Piano Mattei a cui Meloni tiene molto.
Si riapre, dunque, una fase nuova per l’Italia che è pronta a sostenere gli sforzi di ricostruzione delle aree colpite dal conflitto
AGI – L’Etiopia è tornata a essere centrale nell’azione di cooperazione e di partnership dell’Italia. Già il 6 febbraio scorso, durante una visita lampo del primo ministro etiope Abiy Ahmed a Roma dove ha incontrato il suo omologo italiano, Giorgia Meloni, sono state gettate le basi per un ampio programma di cooperazione. Tutto ciò è reso possibile dalla fine della guerra che ha contrapposto il governo federale con le autorità del Tigray. Una guerra che ha lasciato sul campo, secondo le stime delle Nazioni Unite, oltre 500mila morti e centinaia di miglia di rifugiati. Ora il clima sembra essere più favorevole.
La premier Meloni andrà ad Addis Abeba giovedì 13 aprile, accompagnata da alcuni ministri e da imprenditori italiani, per mettere a terra, in Etiopia, il cosiddetto Piano Mattei a cui Meloni tiene molto. Si riapre, dunque, una fase nuova per l’Italia che è pronta a sostenere gli sforzi di ricostruzione delle aree colpite dal conflitto. L’ambasciatore italiano ad Addis Abeba, Agostino Palese, ha spiegato che l’Etiopia deve continuare a percorrere la strada della pace e lavorare per porre fine ai dissidi che ancora covano nel paese.
L’Italia è pronta a sostenere gli sforzi di riabilitazione. Attraverso “il nostro accordo di cooperazione – ha spiegato Palese – cercheremo di intervenire in tutto il paese attraverso vari programmi”. Già il 6 febbraio il presidente del consiglio italiano aveva spiegato, durante la conferenza stampa congiunta con Abiy Ahmed, che è stata sottoscritta una “dichiarazione congiunta che dà il via al nuovo programma triennale di cooperazione allo sviluppo in favore dell’Etiopia del valore di 140 milioni di euro, di cui 100 milioni a credito e 40 milioni sotto forma di doni.
È un programma di aiuti molto importante e conferma la nostra volontà di continuare e accompagnare il percorso di sviluppo dell’Etiopia ponendo un forte accento su iniziative in parte destinate alla formazione, alla creazione di posti di lavoro a favore dei giovani, che possano essere dotati di competenze tecniche e professionali per migliorare le loro aspettative”.
In aggiunta a questo “pacchetto” di aiuti il ministro degli Affari esteri italiano, Antonio Tajani e il ministro delle Finanze etiope, Ahmed Shide, ha firmato due ulteriori accordi per l’erogazione di crediti per 42 milioni di euro per iniziative sulle filiere del tè, del caffè e sulle infrastrutture idriche nelle aree aride dell’Etiopia. Un piano a tutto tondo che verrà messo a terra con la visita del premier italiano.
Nell’immediato futuro, l’intenzione dell’esecutivo italiano è di rafforzare i rapporti con Addis Abeba nello spirito di “partenariato paritario nei confronti delle nazioni africane” all’insegna di quel “Piano Mattei per l’Africa inteso come cooperazione allo sviluppo che possa aiutare i paesi africani a crescere”. Così inteso sarebbe un cambio di passo e di paradigma estremamente importante e che potrebbe prendere avvio, per la prima volta, in Etiopia.
Dunque, le intenzioni sembrano essere più che buone, e l’Etiopia di Abiy ha bisogno anche delle imprese italiane per creare occupazione e sviluppo. Un altro punto che verrà discusso nella visita è legato al miglioramento della situazione umanitaria nel paese e al sostegno del dialogo politico che deve essere necessariamente inclusivo.
I primi segnali si sono già visti in Etiopia. Il fronte di liberazione del popolo Tigray, per esempio, non è più una “formazione” terroristica e il governo di Addis Abeba ha nominato un anziano capo ribelle alla guida della regione del nord dell’Etiopia, il Tigray. Una svolta conseguenza degli accordi di pace che hanno messo fine a una guerra fratricida. Ma rimangono sul tavolo questioni molto importanti come la violazione dei diritti umani e le responsabilità per i crimini di guerra.