Bullismo, Mobbing, Straining!

Ora Legale & Diritti Umani

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Un male invisibile, ma temuto e sotto gli occhi di tutti, che, pur causa di palesi disturbi, spesso lascia indifferente chi se ne ritenga estraneo. La ratifica della Convenzione di Ginevra n. 190, sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, rappresenterà una svolta epocale?

Breve il passo dal bullismo in età adolescenziale al mobbing negli ambienti lavorativi, i fenomeni sono probabilmente strettamente correlati e vedono spesso, ma non necessariamente, gli stessi protagonisti autori di atti lesivi verso terzi, nelle fasi della loro crescita individuale “involutiva”. Recente uno studio* in chiave di correlazione tra bullismo e mobbing, un’analisi dell’agire anche inconscio che spinge bullo e mobber.

Andando al di là dell’eziologia, nel Mobbing deve esservi una finalità diretta a danneggiare il soggetto passivo con comportamenti ripetitivi (questi alcuni paletti posti costantemente dalla giurisprudenza), mentre nel bullismo vi è una finalità del bullo diretta ad auto-elogiarsi, divertirsi con la conseguenza di cagionare un danno alla vittima. Lo Straining si configura come un episodio unico, non ripetitivo che causa tuttavia forte stress alla vittima, come ad esempio nel caso di un demansionamento, di un isolamento.

Le aggressioni possono riguardare la comunicazione, come l’esclusione delle vittime dalla conversazione, le interruzioni o il sovrastarle con urla. Possono riguardare le relazioni sociali come il prepotente rifiuto di ogni contatto e l’isolamento, ma possono colpire anche la sfera personale con la falsificazione di informazioni sulle vittime per offenderle o denigrarle. Si aggiungano le aggressioni riguardo alla reputazione professionale con denigrazione del lavoro svolto, al limite appropriazione dei risultati, o anche attribuzione di mansioni avvilenti. Tali “attacchi” possono avere conseguenze sulla salute psicofisica delle vittime che non reagiscono con quella che è la normale “aggressione di sopravvivenza”, portando in casi estremi alla depressione e al suicidio, penalmente rilevante qualora se ne provi l’istigazione.

Uno studio del Workplace Bullyng Institute (WBI) negli USA rileva che il 30% dei lavoratori ha subito abusi sul posto di lavoro, il 19% ne è testimone, il 66% ha piena consapevolezza del fenomeno negli ambienti di lavoro. La Society for Human Resource Management (SHRM) riferisce un aumento del tasso di violenza sui luoghi di lavoro di ben il 12% in sette anni (2012-2019). Gli uomini vittime sono in numero maggiore rispetto alle donne, la situazione si inverte riguardo alle molestie sessuali. Lo smart working non esclude il verificarsi di tali esperienze in videoconferenze.

I costi del fenomeno si hanno in termini di assenze dal lavoro. Inoltre l’indagine del WBI rileva un tasso di dimissioni delle vittime pari al 23%. Le imprese subiscono costi mediamente tra i 250 e i 330 miliardi di dollari l’anno, secondo l’American Federation of Labor, in quanto il risarcimento assegnato da una giuria arriva sino a 500mila dollari.

L’UE nella Risoluzione del 2018, considerando che, oltre alle conseguenze negative per la salute, il bullismo e le molestie sessuali sul posto di lavoro hanno anche effetti negativi sulla carriera delle singole persone, nonché sulle organizzazioni e le società, ed anche per i lavoratori autonomi, rammenta che il diritto dell’UE impone agli Stati membri e alle loro istituzioni di garantire l’esistenza di un ente nazionale per le pari opportunità, incaricato di fornire un’assistenza alle vittime di molestie. Inoltre, ha invitato ad investire nella formazione degli ispettori del lavoro in collaborazione con esperti psicologi, ed a garantire che le organizzazioni, sia pubbliche che private, predispongano una formazione obbligatoria in materia di molestie sessuali e bullismo, per tutti i dipendenti e per coloro che ricoprano ruoli dirigenziali, impartita da esperti esterni.

La problematica delle disparità si è spesso incentrata sui gender gap sul lavoro, quindi anche sugli aspetti salariali, di genere. È del 4 aprile scorso la Direttiva Europea contro la discriminazione salariale: i paesi membri, previa approvazione, avranno due anni per applicarne le prescrizioni, tra le quali l’obbligo per le aziende europee di rendere noto il divario contributivo di genere e prendere provvedimenti per ridurlo.

Sempre nella stessa direzione l’intento del codice delle pari opportunità in Italia, del 2006, aggiornato nel 2021, che all’art 46 prevede un obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti, una facoltà per quelle con un numero inferiore, di pubblicare, in modalità esclusivamente telematica, un rapporto biennale sulla situazione del personale. Nel rapporto occorre che siano incluse le informazioni sull’importo della retribuzione complessiva corrisposta al personale maschile e femminile, quindi, tra le altre, “informazioni sulla presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente inclusivo e rispettoso e sui criteri adottati per le progressioni di carriera”. Per la redazione è previsto un modello pubblicato nel sito internet del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che è quindi trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali.

La consigliera o il consigliere regionale di parità possono accedere ai dati contenuti nei rapporti trasmessi dalle aziende che abbiano sede legale nel territorio di competenza, elaborano i relativi risultati e li trasmettono alle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro, quindi, tra gli altri, all’ISTAT e al CNEL. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali pubblica l’elenco delle trasmissioni del rapporto e anche quello delle mancate trasmissioni. In tal caso sono previste delle sanzioni, nei casi più gravi la sospensione per un anno dei benefici contributivi di cui goda eventualmente un’azienda.

Rammentiamo brevemente una Circolare INAIL che nel 2003 tenta di fornire una prima definizione di Mobbing, individuando gli elementi fondamentali per il riconoscimento medico-legale di quella che, pur non essendo una malattia, in alcuni casi può comportare determinate patologie. Tuttavia la circolare fu annullata dal TAR del Lazio, che sentenziò la non ammissibilità automatica della malattia professionale indennizzabile, dovendo sempre essere provata la causa di lavoro. La novità introdotta fu tuttavia il poter addebitare alla organizzazione delle attività lavorative la causa di disturbi psichici. Le cosiddette “costrittività organizzative”.

Non essendovi una specifica disciplina in merito, le regioni nel frattempo sono potute intervenire con propri atti normativi, anche se in modo alquanto circoscritto per evitare impugnabilità in materia di competenza legislativa concorrente.

Il 29 ottobre 2022 è entrata in vigore nel nostro Paese, grazie alla legge di ratifica ed esecuzione, la Convenzione n. 190 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 . Sebbene nella legge di ratifica sia previsto che l’attuazione non debba comportare nuovi e maggior oneri, si dovrà almeno verificare la adeguatezza della legislazione attuale e quali siano gli ampliamenti e adattamenti delle misure attuali che occorrono, affinché si possa considerarne l’ampio oggetto e i destinatari previsti: molestie, pratiche inaccettabili messe in atto o minacciate, ripetute o una tantum…al lavoro o ad esso connesse, anche prescindendo dall’intento consapevolmente doloso del mobber! Una sfida per raggiungere, probabilmente, un vero cambiamento.

*Maria Grazia Costanzo Bullismo e Mobbing. Una ipotesi di ricerca correlazione.

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