Migranti, tre ONG fanno causa all’Italia: porti troppo distanti da raggiungere

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Da “sentinelle delle acque”, alla continua ricerca salvifica di naufraghi da mettere in sicurezza perché “sfiancati dalla fatica dei troppi giorni trascorsi in alto mare”, nonché da scortare verso approdi ultimamente “troppo distanti” da raggiungere.

È da questa prospettiva che le Organizzazioni non governative (ONG) tedesche SOS Humanity, Sea-Eye e Mission Lifeline avrebbero deciso di intraprendere un procedimento legale nei confronti dell’Italia, rea – a parer loro – di mettere a disposizione prevalentemente “porti sicuri” inutilmente lontani per permettergli di scaricare il carico umano trasportato. Una disputa ricorrente, quella in cui le ONG lamentano la distanza eccessiva dei moli scelti e indicati dal nostro governo per lo sbarco dei migranti (come se indirizzare e spostare un po’ qua e un po’ là le persone fosse un fatto normale e, tra l’altro, dovuto).

Nel caso più recente l’ancoraggio adeguato comunicato è stato Ortona (Chieti) ma, per SOS Humanity e per i suoi 199 extracomunitari, soccorsi e caricati a bordo a poche miglia nautiche dalla Tunisia, si sarebbe trattato di un riferimento italiano eccessivamente complicato verso cui spingersi: “Dopo cinque missioni di soccorso abbiamo ripreso il transito verso il porto sicuro assegnato: è quello di Ortona, in Italia, a circa 1.300 km. Il capitano ha chiesto senza successo un porto più vicino per i sopravvissuti gravemente indeboliti da 5 giorni passati in mare, in parte senza cibo e acqua. La pratica dell’Italia di assegnare sistematicamente porti lontani rappresenta per le persone soccorse un rischio sanitario evitabile. La nostra azione legale, insieme a Sea Eye e Mission Lifeline, è in corso”, ha dichiarato la ONG.

A volte i conti proprio non tornano…

Come già riscontrato in precedenti situazioni simili, però, le contestazioni delle ONG appaiono poco fondate. SOS Humanity avrebbe, infatti, presentato una mappatura grafica dei chilometri percorsi (e da percorrere, per dirigersi verso Ortona), dalla quale sarebbe emerso come il primo salvataggio fosse avvenuto in una zona molto più prossima alla Tunisia che all’Italia. E, nonostante le ONG abbiano sottolineato che quello africano non fosse un luogo sicuro di destinazione, l’imbarcazione avrebbe comunque dovuto essere evacuata al più presto e ovunque, in considerazione delle condizioni critiche dei passeggeri a bordo (e data l’emergenza). Inoltre le autorità italiane hanno fornito un chiaro centro di sbarco che, in caso non fosse stato abbastanza vicino per gente fisicamente indebolita, avrebbe potuto essere scartato in virtù di alternative non italiche ma più prossime da raggiungere.

Un secondo aspetto su cui riflettere riguarderebbe poi i “salvataggi multipli“: SOS Humanity avrebbe effettuato ben cinque operazioni di soccorso, dichiarate come avvenute quasi tutte nella stessa area. E, anche se le ONG hanno ribadito che il loro unico impegno è quello di aiutare (o di traghettare?) il maggior numero possibile di persone, tuttavia il decreto governativo vigente vieta espressamente questo tipo di plurinterventi.

Quindi, sebbene ci sia anche stata la volontà di fornire a organizzazioni straniere un approdo in Italia, quanto accaduto ha dimostrato come il codice di condotta varato da Piantedosi non sia stato volutamente applicato (a tal proposito ricordiamo che il Ministro dell’Interno si recherà presto a Lampedusa, dove l’hotspot risulta nuovamente sovraffollato).

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Numeri allarmanti e fiducia in un’Europa in crisi

Persino i dati ufficiali sugli sbarchi denotano un quadro chiaro: a fine giugno si sono registrati 65.000 arrivi, contro i circa 25.000 dei due anni precedenti: cifre troppo contrastanti con le promesse politiche fatte nella campagna elettorale passata dagli attuali governanti, qualcuno accusa, che oggi potrebbero anche spingere a ipotizzare un semplice sfruttamento del tema dell’immigrazione incontrollata finalizzato all’accaparramento di voti.

Mentre altri vedrebbero prettamente tanti slogan e pochi discorsi concreti nelle loro decisioni: si parla ora, ad esempio, di un progetto comune che coinvolgerebbe i ministeri di Nordio e Piantedosi nella semplificazione dei rimpatri, il tutto quando la premier Meloni si dice fiduciosa e sostiene che Bruxelles sia finalmente prossima ad un cambio di posizione sull’argomento.

Ma i recenti accadimenti in seno al Consiglio Europeo, dove le storiche fratture tra gli Stati membri (anche in merito a queste scelte) si starebbero invece allargando, hanno solo evidenziato che la strada da percorrere è lunga non solo per le ONG, che fanno su (e giù) da (e verso) i porti di imbarco/sbarco, ma anche per i Paesi comunitari che dovrebbero trovare una quadra in materia di migrazioni regolari e non.

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Fonti online:

ByoBlu (testata giornalistica ed emittente televisiva nazionale; articolo di Andrea Murgia del 03 luglio 2023), sito di SOS Humanity, sito di Sea-Eye, sito di Mission Lifeline, IL MONDO, Il manifesto, Wikipedia, Stranieri in Italia, Radio Onda d’Urto, TGLA7.it, sito istituzionale del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, Il Grand Continent, La Repubblica, Rai News;

Account Twitter: SOS Humanity;

Canali YouTube: Ministero dell’Interno, Askanews.

Antonio Quarta

Redazione Il Corriere Nazionale

Corriere di Puglia e Lucania

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