Rilanciato in Congo il piano per “Inga 3”, la diga più grande

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L’attivista Pascal Mirindi commenta l’intesa con il Sudafrica: ci sono punti non chiari nel progetto, ma il governo non dà risposte

di Alessandra Fabbretti

ROMA – La più grande diga del mondo potrebbe essere realizzata nella Repubblica democratica del Congo, sul fiume Congo, per un costo stimato di 13,9 miliardi di dollari e una produzione di 40 gigawatt di elettricità. Il progetto in realtà prevede ben sette dighe interne, che dovrebbero produrre energia su un tratto di 150 chilometri del secondo fiume più lungo del mondo, caratterizzato da numerose cascate. Un progetto “potenzialmente molto utile per il fabbisogno energetico di cittadini e imprese, ma che al momento presenta troppi punti oscuri e il governo non dà risposte, perché non considera il bene dei cittadini una sua priorità”: il monito, in un’intervista con l’agenzia Dire, giunge da Pascal Mirindi, esponente del gruppo Lotta per il cambiamento – Lucha nonché della sezione congolese del movimento internazionale Extinction Rebellion, che in modo indipendente agisce per convincere i governi a intervenire sull’emergenza climatica ed ecologica.

ACCORDO CON IL SUDAFRICA

A rilanciare la proposta, intorno alla quale si discute a fasi alterne dal 2003, un accordo siglato tra il presidente Felix Tshisekedi con l’omologo del Sudafrica Cyril Ramaphosa, che punta ad acquistare buona parte dell’energia prodotta per rispondere ai frequenti blackout. “Il nostro governo ha già detto che intende venderla anche alla Nigeria” aggiunge Mirindi, che continua: “Gli impianti già esistenti Inga Dam 1 e Inga Dam 2 – costruiti tra gli anni Settanta e Ottanta – vendono a Paesi come Burundi, Ruanda e Uganda, e solo il 20% va ai congolesi che continuano ad avere problemi d’accesso all’elettricità, soprattutto nelle zone rurali. Questo ci lascia pensare che il governo non farà diversamente con Inga Dam 3″. Altra nota dolente: “Inga 1 e 2 non sono mai entrate nel pieno della loro capacità, che oggi raggiunge a fatica il 40%”.

40MILA FAMIGLIE A RISCHIO SFOLLAMENTO

L’attivista prosegue citando altre criticità: la Banca africana di sviluppo ha diffuso un primo studio di fattibilità del progetto, che però, spiega Mirindi, “non affronta il tema del futuro delle 40mila famiglie che vivono lungo il fiume e sono a rischio sfollamento. Da quasi un anno e mezzo chiediamo al governo di chiarire come intende sostenerle, ma non ci ha mai risposto. Né la Banca africana né l’esecutivo poi hanno mai citato il problema dell’impatto del progetto sull’ecosistema: intere specie acquatiche potrebbero scomparire così come tanti terreni coltivabili e foreste finiranno sott’acqua”, come risultato della creazione di bacini artificiali. Le comunità che resteranno potrebbero non essere in grado di praticare attività economiche tipiche dell’area come pesca, allevamento e agricoltura.

QUANTO PESA IL DEBITO

Infine c’è il tema del finanziamento del progetto, anche se la Banca africana di sviluppo sembra già “in prima linea”. Inga 1 e 2 vennero realizzate con prestiti della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale “con tassi d’interesse enormi”, ricorda l’esponente di Extinction Rebellion, “che infatti l’allora governo non riuscì a restituire”. Nell’ex Zaire seguirono forti crisi debitorie che costrinsero lo Stato a tagliare sulla spesa pubblica. Oggi, il Paese continua a mostrare indicatori economici poco rassicuranti, con oltre la metà della popolazione in povertà e tante crisi interne.

fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it

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