Il 27 settembre 2023 Lucia Borsellino, figlia di Paolo massacrato in via D’Amelio assieme alla scorta, è stata sentita in Commissione Antimafia assieme al marito e difensore della famiglia Avvocato Paolo Trizzino.
Lucia Borsellino ieri in Commissione Antimafia ha chiesto che si proceda all’accertamento pieno della verità sulla morte di suo padre, affrontando integralmente, senza veli, tutte le circostanze emerse dalle testimonianze e dagli atti.
“Senza nessuna pretesa di voler sostenere alcuna tesi piuttosto che un’altra”, ha detto Lucia, desideriamo proporre alla Commissione degli elementi di conoscenza emersi dagli atti, in modo fedele, per amore della verità.
L’Avv.to Trizzino ha sottolineato che il primo problema di Paolo Borsellino era diventato il suo isolamento all’interno del palazzo di giustizia di Palermo, tanto che egli era profondamente prostrato nell’ultimo periodo della sua vita, giungendo a definire il suo luogo di lavoro “un nodo di vipere”, con un’espressione forte per lui inusuale.
Il “nido di vipere” potrebbe allora aver favorito la morte di Paolo Borsellino, agendo dall’interno dell’allora Procura della Repubblica di Palermo: questo è il senso, terribile ma non sorprendente atteso che si tratta di un tema già più volte affrontato da Trizzino, da sua moglie Lucia Borsellino e dagli altri due figli di Paolo, Fiammetta e Manfredi, oltre che un tema che comunque è stato introdotto e discusso in altre sedi. L’avv.to Fabio Trizzino, avvocato della famiglia del magistrato assassinato in via D’Amelio trentuno anni fa, ha anche sottolineato nel corso della sua audizione innanzi la Commissione parlamentare antimafia che il mondo della magistratura nel suo complesso ha sempre “protetto” le figure del dott. Pietro Giammanco, il magistrato che era all’epoca a capo della Procura palermitana, e degli altri colleghi che avevano contribuito ad isolare Borsellino ed a boicottarne l’impegno investigativo nel settore “mafia-appalti”. Addirittura Giammanco non è mai stato sentito nei procedimenti e processi per strage. Né la stampa sarebbe stata meno miope, giacchè raramente – a parte rare eccezioni – secondo Trizzino e Lucia Borsellino avrebbe sviluppato o anche soltanto esposto le circostanze a carico dei magistrati, subito emerse dalle deposizioni dei sostituti procuratori di Palermo nell’immediatezza della strage.
Infatti, già dal luglio del 1992 erano stati formati dal C.S.M. (Consiglio Superiore della Magistratura) dei verbali, resi dai colleghi di Paolo nella Procura della Repubblica di Palermo, che con grande sincerità riportarono, con ricordo fresco, il clima di isolamento in cui era stato stretto Paolo Borsellino prima della sua morte. Questi verbali però, non ostante la loro elevata rilevanza anche ai fini delle indagini per individuare e punire i responsabili dell’eccidio, per decine di anni sono rimasti segretati.
“Anche la magistratura deve essere pronta a guardare dentro di sé e a quello che ha combinato in quel frangente della storia repubblicana” – ha osato dire Trizzino, coraggioso e sereno – “tutti dicono che Borsellino, dopo la morte di Falcone, sarebbe andato a fare il procuratore nazionale antimafia ma nessuno sa che il plenum del Csm tra il 15 e il 20 giugno del 1992 bloccò qualunque richiesta di riaprire i termini del concorso, disse che Borsellino non aveva titoli e che non avrebbe sopportato l’ingerenza del potere esecutivo rispetto ad un concorso che era già sotto delibazione o quasi definito. Non ho visto in questi anni la magistratura ragionare su come abbia in qualche modo abbia cannibalizzato i suoi figli migliori, non ho mai sentito un ‘mea culpa’, ‘abbiamo sbagliato’, ‘cosa abbiamo combinato?’ o ‘non abbiamo capito niente’”.
La moglie di Paolo, la signora Agnese, dichiarò come testimone in giudizio che il marito le aveva detto: “forse sarà la mafia che mi ucciderà, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri”, però la stampa ha quasi sempre espunto, negli anni, il riferimento negativo contro i magistrati.
In quel periodo Borsellino stava lavorando sul c.d. “Dossier mafia-appalti”, noi – ha detto Trizzino – stiamo cercando di ricostruire i fatti sul versante storico atteso che attraverso i processi giudiziari non si è riusciti ad arrivare alla verità: però il metodo di vaglio della credibilità e attendibilità delle fonti, e tutte le altre regole processuali il cui rispetto garantisce l’aderenza alla realtà degli elementi di conoscenza, sono state rigorosamente rispettate e applicate.
Ha detto ieri l’avv.to Trizzino: “in tutti questi anni nella testimonianza resa dalla vedova Agnese Piraino (moglie di Borsellino, ndr), in cui il marito dice: ‘mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica, forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi e altri’, è stato costantemente espunto il riferimento ai ‘miei colleghi’. Se noi incrociamo questa confidenza di Borsellino con la testimonianza del 2009 in cui si dice che Borsellino definisce il suo ufficio un nido di vipere allora dobbiamo andare a cercare dentro l’ufficio della procura di Palermo, per vedere se allora si posero in atto condotte che in qualche modo favorirono quel processo di isolamento, delegittimazione, indicazione come target e obiettivo di Paolo Borsellino, che sono quelle condizioni essenziali che hanno sempre proceduto gli omicidi eccellenti a Palermo”.
Il “Dossier mafia-appalti”, questa è una considerazione di chi scrive, era stato elaborato e firmato dal R.O.S. dei Carabinieri di Palermo comandati dal generale Mario Mori, e se è stato causa o concausa della morte di Borsellino, come emerge dalla ricostruzione dell’avv.to Trizzino, allora forse è stato alla base anche della disgrazia processuale dello stesso Mori e di altri suoi colleghi, indagati e condannati in primo grado perché asseritamente coinvolti nella c.d. “trattativa Stato-mafia”, e poi definitivamente assolti dopo molti anni.
Il Dossier Stato mafia si inserisce, ha proseguito spiegando Trizzino, nel fiume delle indagini sulle tangenti scaturito dall’arresto di Mario Chiesa, ma se sviluppato nel suo intero potenziale avrebbe provocato una valanga di arresti in Sicilia. Paolo Borsellino subito dopo il compimento di un importante atto di indagine relativo al Dossier disse alla moglie “me la faranno pagare”, ed era lui il magistrato più odiato dalla mafia e direttamente da Totò Riina, un odio covato da anni.
E allora, se è vero – e con alta probabilità è così – che come ha detto in audizione innanzi la Commissione parlamentare antimafia Lucia Borsellino “le altre piste che sono state solcate non hanno del tutto o per niente considerato atti e documenti e prove testimoniali che potessero fornire elementi indispensabili per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione che lui ha vissuto nella sua vita. Ciò che chiediamo, nel massimo rispetto delle istituzioni senza voler sostenere alcuna tesi perché non siamo tecnici, è di offrire una ricostruzione operata su una mole di atti e testimonianze. Vorremmo rassegnare elementi suscettibili di ulteriore approfondimento per il rigore logico che questi elementi meritano”; non resta alla magistratura che restituire la giusta considerazione alle testimonianze dei familiari di Paolo Borsellino e alle indagini e studio degli atti da essi portati avanti.
Complimenti, un articolo scritto con obiettività e competenza. Anche Falcone ovviamente era circondato dallo stesso nido di vipere. Un nido di vipere che è contro chi non vuole scendere a compromessi e lotta per la verità e la giustizia, sacrificando anche se stesso