Il ruolo di mediatore del Qatar tra Usa e Hamas

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Il piccolo e ricchissimo emirato del Golfo è già intervenuto con i leader dell’organizzazione palestinese per facilitare il rilascio di alcuni ostaggi portati a Gaza

AGI – Gli ultimi sviluppi del conflitto in Medio Oriente hanno fatto emergere il ruolo sempre più centrale del Qatar. Il piccolo e ricchissimo emirato del Golfo, 300 mila abitanti ma terzo esportatore al mondo di gas, ha mediato con i leader di Hamas, facilitando il rilascio di alcuni ostaggi portati a Gaza dopo l’attacco sferrato a Israele il 7 ottobre scorso. Ultimo il caso di due donne, Judith e Natalie Nataan, madre e figlia liberate grazie alla mediazione qatarina.

Una notizia che ha riacceso le speranze di chi chiede che il blocco di acqua ed elettricità imposto nella Striscia di Gaza venga quantomeno alleggerito. Circostanze che hanno spinto gli Stati Uniti a puntare sui buonissimi rapporti che il piccolo Stato del Golfo coltiva con Hamas e con i suoi leader, molti dei quali si dividono tra Turchia e Qatar.

Proprio la Turchia sembrava il principale candidato a un ruolo di mediazione. Una strada che non appare però più percorribile. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, dopo aver dato la disponibilità del proprio Paese a mediare nelle prime settimane, ha sferrato lo scorso mercoledì un violento attacco verbale nei confronti dello stato ebraico. Parole che compromettono i rapporti con il governo israeliano in carica e che, allo stesso tempo, avvicinano Ankara ad Hamas, definito dal leader turco un gruppo “che lotta per la protezione e per la liberazione del popolo e del territorio palestinese”. Parole inaccettabili per la Casa Bianca e Israele, che hanno determinato una virata su Doha.

Hamas lancia un appello alla comunità internazionale per fermare i bombardamenti, particolarmente intensi nelle ultime ore. Interrotte tutte le comunicazioni, anche via internet nella Striscia di Gaza. La Casa Bianca chiede una tregua umanitaria. Persi i contatti con gli Italiani a Gaza. Hamas chiede a Hezbollah di intervenire. Israele: “Riporteremo a casa i 229 ostaggi”

Doha tra gli Usa e Hamas

Decisivo l’esito di un incontro tra il segretario di Stato americano Anthony Blinken e l’emiro Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani. La ricca monarchia del Golfo e’ da anni protagonista di un’azione politica multilaterale: ospita sul proprio suolo una grande base militare americana, Al Udeid Air Base, ma anche l’ufficio politico di Hamas, cui garantisce finanziamenti per centinaia di milioni di dollar

i. Al momento sembra siano due i principali obiettivi degli Stati Uniti: il primo, immediato, riguarda la liberazione degli ostaggi, il secondo, nel lungo termine, mira all’isolamento di Hamas. Appare al momento improbabile che il Qatar possa garantire agli Usa l’espulsione dei leader di Hamas come Ismail Haniye e Khaled Meshal che a Doha, come in Turchia, trovano un porto sicuro cui approdare e da cui muoversi. Diverse le prospettive rispetto alla liberazione degli ostaggi. I canali aperti tra Hamas e Doha hanno permesso la liberazione di alcuni dei 224 ostaggi nelle mani di Hamas e tornano preziosi in questi giorni.

Un’opera di mediazione che ha suscitato anche la positiva reazione di Israele. Il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hangbi ha definito “cruciali” gli sforzi diplomatici del Qatar, un Paese che per Israele è ormai “parte essenziale nel facilitare la soluzione di delicate questioni umanitarie”. Parole che per il momento sembrano aver messo in secondo piano il flusso di denaro che dalla monarchia del Golfo è finita nelle casse di Hamas. Un sostegno economico ben più corposo di quello iraniano, senza il quale l’attacco del 7 ottobre non sarebbe probabilmente stato possibile.

Un capitolo finito da parte, ma solo per il momento, perché appare inevitabile che Israele e Usa chiedano al Qatar di rivedere i propri rapporti con Hamas. “In futuro le cose con Hamas per il Qatar potrebbero essere diverse”, ha detto Blinken a margine dell’incontro con Al Thani. Una richiesta che però potrebbe ora rivelarsi un boomerang. Se Doha rompe con Hamas perde la propria capacità di negoziare con l’organizzazione palestinese. I leader di Hamas, che in Turchia sono attualmente in bilico, se cacciati dal Qatar finirebbero in Libano da Hezbollah, Siria o più probabilmente Iran. Una situazione che avvicinerebbe allo zero qualsiasi possibilità di dialogo.

Doha e l’azione diplomatica multilaterale

La forza del Qatar è stata, fino a oggi, propri l’azione diplomatica multilaterale. Ospita una base militare americana, l’ufficio di Hamas e una rappresentanza dei talebani, dialoga con l’Iran e con la Russia e rimane un alleato strategico della Turchia e ha sempre un canale aperto con Hezbollah. In questo momento più che la rottura totale tra Doha e Hamas, che non sembra convenire a nessuno, gli Stati Uniti sembrano orientati a chiedere un intervento su Al Jazeera, l’emittente con sede a Doha che sta offrendo una copertura continua dei bombardamenti su Gaza.

Una narrativa spesso assai critica verso Israele, ricca di immagini che mostrano senza riserve le sofferenze della popolazione civile di Gaza. Una voce il cui volume Washington chiede sia abbassato. Una richiesta il cui esito è incerto, tuttavia già nella visita di Blinken a Doha si è accennato al rischio che la tv del Qatar faccia ulteriormente salire la tensione in tutta l’area. Per gli Usa un mediatore affidabile. Che gli Usa guardino al Qatar nelle delicate circostanze negli ultimi giorni costituisce una sorpresa fino a un certo punto.

È vero che Erdogan si è messo fuori gioco da solo, ma è altrettanto vero che Doha e Washington hanno una lunga storia di rapporti. I due Paesi iniziarono a collaborare nel 1972 in ambito energetico, militare e universitario. Il Qatar sin da allora ha fornito sostegno e intelligence alle operazioni antiterrorismo americane in Medio Oriente e Africa condotte negli anni ’90.

Tutte le mediazioni del Qatar

Tuttavia è all’inizio degli anni 2000 che il Qatar si impone come mediatore sul piano internazionale. Cruciale fu il 2008, quando Hezbollah prese il controllo delle principali infrastrutture, aeroporti e porti inclusi, in Libano. L’intervento del Qatar permise di far sedere allo stesso tavolo il gruppo sciita libanese e i suoi oppositori sostenuti da Usa ed Europa. L’accordo siglato proprio a Doha evitò che il Paese dei cedri precipitasse in una nuova guerra civile.

Il piccolo Stato del Golfo ha mediato anche nei precedenti bombardamenti su Gaza del 2014, ma si è rivelato decisivo ad agosto 2021, in seguito al ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. In quell’occasione il Qatar non solo offriva un canale di dialogo con gli estremisti, ma permise l’evacuazione di decine di migliaia di persone, tra cui moltissimi cittadini stranieri e americani. Si stima che il 40% delle evacuazioni siano avvenute via Qatar.

Negli ultimi due anni Doha è stata la sede degli incontri tra gli inviati americani ed esponenti del governo talebano. Incontri che hanno prodotto come unico risultato quello di consolidare il ruolo di garante e mediatore del Qatar. Recentemente il governo di Doha ha messo la firma in una difficile mediazione con l’Iran, conclusa con la liberazione di un cittadino americano. Interventi che hanno spinto il presidente americano Joe Biden a definire il Qatar “il più importante alleato al di fuori della Nato”.

Biden ha fatto riferimento al “contributo offerto negli anni alle operazioni americane“, tuttavia dietro le sue parole si nasconde l’importanza di un alleato che ha canali aperti con Paesi ‘canaglia’ e gruppi terroristici con cui la Casa Bianca non può permettersi di mantenere relazioni.

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