Sant’Alfonso de’ Liguori ne ha saputo attualizzare il messaggio in uno dei suoi testi più belli, “Quanno nascette Ninno”, collegato al canto natalizio che da esso proviene: “Tu scendi dalle stelle”. Il 25 dicembre di ottocento anni fa, la natività di Betlemme è rievocata a Greccio. Chiede una greppia, ossia il “prasepium”, la mangiatoia in latino, un bue e un asino. Li fa collocare in chiesa, nei pressi dell’altare dove si celebra la santa Messa. È la nascita di una tradizione, è una rivoluzione che riavvicina l’esperienza di Dio all’uomo.
L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano, congiunti in una storia di amore che dona vita e pienezza a ogni vita: è questo il messaggio che il presepe racconta. Una narrazione di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, rievocò a Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora, c’è sete di un amore che vinca la “folla delle solitudini” e stemperi l’accanirsi dei conflitti. Il presepe oggi più che mai si offre come un annuncio di pa ce e di speranza, che può parlare al cuore di tutti. Forse nessuno meglio di sant’Alfonso de’ Liguori ne ha saputo attualizzare il messaggio per l’oggi degli uomini: lo ha fatto con la densità poetica di uno dei suoi testi più belli, Quanno nascette Ninno, che ha avuto un’enorme diffusione, collegato al canto natalizio che da esso proviene ed è universalmente conosciuto: Tu scendi dalle stelle.
Era una notte luminosa e bella quella in cui tutto cambiò per la storia del mondo: e l’universalità dell’annuncio raggiunse i confini della terra, quell’Oriente da cui nell’immaginario comune tutto nasce come il sole all’aurora. Una gioia nuova e misteriosa sembrò inondare i cuori, e perfino gli animali e l’intero Creato vollero far festa con sentimenti di esultanza del tutto inediti: un Bambino è nato per noi, piccolo e bisognoso di calore e d’amore come ogni bambino della storia, ma gli Angeli annunciano al mondo che in quel Piccolo l’infinito Amore viene a offrirsi per noi, che perciò l’uomo non è più solo, ha anzi la certezza di essere amato e accompagnato dall’Emmanuele, il Dio con noi, sole che illumina ogni notte e la fa giorno di nuova vita e di gioiosa speranza. Il divino incontra l’umano e lo colma di luce. Il divino è rappresentato nel presepe dalla scena che dà senso a tutte le altre: il mistero dell’Incarnazione.
Essa comprende le figure del Bambino, di Maria e di Giuseppe, affiancati dal bue e dall’asinello, e la mangiatoia (praesepium), che dà il nome all’insieme. Che si sia di fronte al luogo in cui l’Eterno sta entrando nel tempo è indicato dal roteare degli angeli, impegnati a cantare la gioia del cielo che viene ad abbracciare e ad abitare la terra. Che un nuovo inizio si compia è figurato dalle colonne del tempio in rovina, gloria della classicità ormai compiuta e superata dall’avvento del divino venuto nella carne, per noi, fra noi. Le fattezze dei personaggi sono tutte orientate a far risaltare questa novità tanto grande e importante per la vita degli uomini nell’oggi e per l’eternità: la tenerezza del Bambino, la soavità della Madre, la serietà di Giuseppe, perfino un certo portamento dell’asinello e del bue, non privi di un “physique du rôle” adeguato alla scena, convergono nel dire che la gloria che viene a manifestarsi nei poveri segni della storia è sovrabbondanza di amore, di gratuità e di misericordia. L’altro protagonista del presepe, l’umano, è rappresentato in tutta la varietà del le sue espressioni: al primo posto, i pastori, i poveri aperti alle sorprese di Dio, ai quali l’angelo porta l’annuncio; poi i Magi, figura di tutte le “genti” raggiunte dalla luce della stella; e, infine, l’umanità indifferente e distratta, rappresentata dagli ospiti della locanda.
Quest’ultima categoria, la più largamente umana, è descritta nel presepe con tono di bonarietà e di misericordia, quasi a farla partecipe − perfino suo malgrado − della festa di tutto il Creato. La rappresentazione dei “pastori”, raggiunti dall’annuncio, è quanto mai dolce e partecipata: quelli che hanno come casa la natura e come tetto il cielo e la cui unica sicurezza è affidata all’umile fatica dei giorni, appaiono i destinatari prediletti della buona novella. A essi si congiunge il vasto mondo delle “genti”, significato dai Magi, rappresentati per lo più come un ragazzo, un vecchio e un giovane, dal diverso colore della pelle, a comprendere la varietà dei popoli e delle stagioni della vita, a cui è destinato il Vangelo.
L’abbraccio della natività del Dio con noi si estende al non meno affollato mondo degli animali: il presepe ne ospita di ogni specie, come se anche per loro si celebrasse la festa di un nuovo inizio. In realtà, è tutta la natura ad accogliere il Redentore del mondo: le intuizioni della più antica teologia cristiana, per la quale il Cristo è il centro e il fine del cosmo (cfr Col 1,15s), sono presenti nel presepe come un invito ante litteram alla spiritualità ecologica, sollecita della custodia del Creato.
Marcario Giacomo
Editorialista de Il Corriere Nazionale