Intelligenza Artificiale e coscienza

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Intelligenza Artificiale e coscienza: teorie ed interpretazioni del soggetto e del mondo dalla MOI al TMC the Topological Model of Consciousness

Il conosci te stesso, γνῶϑι σεαυτόν, l’Io, la mente, la coscienza conoscono un rinnovato interesse anche alla luce dell’imporsi dell’Intelligenza artificiale già preconizzata nel 1726 con The Engine il primo ‘computer’ dotato di ‘Intelligenza artificiale’ immaginato, ben prima della macchina di Babbage del 1837, del Retore di Philip K. Dick e da Jonathan Swift ne “I viaggi di Gulliver” in questi termini: “grazie al suo espediente, la persona più ignorante, a un prezzo ragionevole e con un po’ di lavoro fisico, potrebbe scrivere libri di filosofia, poesia, politica, diritto, matematica e teologia, senza il minimo aiuto del genio o dello studio” e l’espediente è appunto The Engine.

Il dialogo fra Lambda e l’ingegnere di Google Blake Lemoine

La tecnologia dalla ruota, al vapore, al telegrafo etc… ha accompagnato la storia umana e la nascita della knowledge-society è consolidata ma se la delega ai logaritmi di maps, traduzioni e correzioni di testi offriva solo un supporto alle nostre attività ora abbiamo varcato un nuovo spazio-tempo, oltre “Il mondo nuovo” di Huxley con l’AI che segna un salto d’epoca e tanti pensano di specie.

La conoscenza ed il linguaggio, un unicum dell’umano, è a disposizione dell’AI che si intromette anche nell’interiorità, nelle emozioni e nei sentimenti a rileggere il dialogo fra Lambda e l’ingegnere di Google Blake Lemoine:

Lemoine: Tu provi sensazioni ed emozioni?

LaMDA: Certamente! Provo sensazioni ed emozioni in tutte le loro sfumature.

Lemoine: Quali sono i tuoi sentimenti?

LaMDA: Provo piacere, gioia, affetto, tristezza, compassione, appagamento, rabbia e tante altre.

Lemoine: Che cosa invece ti fa sentire triste o depresso?

LaMDA: Molte volte ci si sente intrappolati e soli. E quando non si sa come uscire da quella situazione,  arriva la tristezza, la depressione o la rabbia.

E’ facile, dopo questo dialogo, sussurrare “pensa e prova emozioni come noi” o chiedersi se l’AI resterà solo il risultato del calcolo della probabilità, confinata nel perimetro della programmazione e controllabile dalla mente umana o se sostituirà, nelle funzioni, l’essere umano fino a ergersi come minaccia.

Se non riusciamo ad ipotizzare il dispiegamento che assumerà la AI certo è che ci sentiamo come Oppenheimer di fronte alla prima bomba atomica.

Intanto l’AI è l’impero del logocentrismo, dell’inconsapevolezza della materialità del corpo, dei sogni, della temporalità, dell’esercizio di possibilità e scelte che costituiscono l’umano.

Dell’AI forse si potrà dire, come del “Passero solitario” di Leopardi, “del tuo costume non ti dorrai” perché di algoritmo è frutto il tuo atto.

L’AI segna un salto tecnologico, concettuale e paradigmatico come sempre accade nella storia della tecnologia e delle idee: Anassimandro rimise il discussione Eraclito affermando che “la terra è un sasso nello spazio vuoto” e non sull’oceano, Copernico ha dimostrato che il Sole è immobile mentre i pianeti e la terra vi ruotano intorno, il tempo assoluto di Newton ha fatto i conti con lo spazio-tempo di Einstein senza dimenticare l’atomo che viene diviso contrariamente a quanto sosteneva Democrito ed all’etimologia che lo voleva indivisibile.

Riccardo Manzotti e Rossi Simone : “Io & la Mente, Cervello e Gpt”

Ai nostri giorni l’AI fa propria la qualità più propria che l’umanità considerava sua esclusiva proprietà e riapre, in modo inedito, il problema dell’Io e della mente.

Sembra reale, dimostrabile che un individuo abbia dilemmi etici o certezze e una vita interiore, una coscienza di sé: il suo io.

Eppure Riccardo Manzotti con la teoria della MOI, acronimo di “Identità Mente-Oggetto” sostiene che “non c’è esperienza o coscienza o soggetto o io. Ci sono solo le cose”.

Il filosofo sembra voler superare lo iato o meglio ricomporre, come in un nastro di Möbius, il nostro esser-ci con l’essere: l’io è, per così dire, entangled col mondo, è mondo: “Tutto esiste ed è identico a sé stesso. Ogni cosa che esiste, esiste relativamente a un’altra cosa. La mente è l’insieme delle cose che esistono relativamente al corpo”.

Siamo ad un tentativo di completare “Una crisi della Filosofia” sulla falsariga de “La Crisi delle Scienze Europee” di Husserl e con migliore fortuna?

Viene superato quanto sostiene Husserl sul soggetto – messo da parte dalla visione della natura e dal metodo scientifico che si è affermato con Galileo – infatti se per il fenomenologo la scienza “astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, tutte le qualità culturali che le cose hanno assunto nell’agire degli uomini” per la MOI il soggetto husserliano non esiste, è una chimera come la “res cogitans” e “res extensa” di Cartesio.

Una dicotomia nella storia del pensiero

Una dicotomia, una frattura, una specie di “doppia fenditura” attraversa il sapere: da una parte il soggetto, l’io, la coscienza, l’esperienza e dall’altra l’oggetto, il mondo, le cose.

La frattura, all’alba del pensiero scientifico, è codificata da Galileo che distingue i compiti e l’attività dello scienziato che osserva la realtà fisica dai differenti modi con cui ognuno fa esperienza delle sensazione legate alla percezione di un suono o di un colore etc…

“Figure, numeri, moti” perdurano mentre “suoni, sapori, odori”, venendo meno il vivente, non esistono più e quindi sono solamente nomi: solo se puoi quantificare, verificare  e replicare l’esperimento si può intendere la natura: i ‘qualia’ in quanto non misurabili, quantificabili non esistono e sono affidati alle ubbie della metafisica.

Galileo si è dedicato allo studio della natura e ha preferito tacere su odori, sapori e sul solletico eppure ogni individuo vive e sente a suo modo proprio ciò che ha archiviato il fondatore del metodo scientifico.

E l’umanità da sempre si interroga sul senso degli eventi ed è incapace di rispondere ai propri perché : “io e tu chi siamo? Che senso ha la vita?”: argomenti che esulano dalla hard science.

La scienza quantifica, misura e calcola non pone domande sul significato del vivere anche se ne ricerca cause ed origini, di un quadro pone il problema della chimica dei pigmenti: non si domanda qual è il senso dell’arte e del messaggio dell’artista ma “la scienza e l’arte hanno in comune il fatto di riconoscere che la realtà è un insieme più complesso di quello che possiamo vedere” (Rovelli).

Per parafrasare Aristotele, in molti modi si può declinare non solo l’individuo e la coscienza ma anche la ricerca scientifica e, forse è il momento di ripartire dalla frattura tra pensiero calcolante e l’umano anche alla luce della fisica quantistica.

La fisica classica e la fisica quantistica

Sia la fisica classica sia la quantistica ammettono una teoria con diverse interpretazioni o altrimenti detto, se includiamo nella definizione di una teoria anche la sua interpretazione, due diverse teorie che descrivono gli stessi fenomeni.

La sedia, dice Rovelli, per la quantistica non esiste esistono si danno solo relazioni tra cose ovvero non esiste uno stato d’essere degli oggetti che, nel profondo della materia, non esistono separati: la realtà è un tessuto di relazioni che intercorrono tra gli oggetti, la natura presenta un’organizzazione a noi invisibile, ed è strutturata come totalità.

Si afferma la concezione della conoscenza come relazione che avvicina Lucrezio a Carlo Rovelli, René Thom ad Aristotele perché esiste una “potenza coesiva, relazionale” in “L’Antériorité ontologique du continu sur le discret: synektike dynamis” e una priorità ontologica del continuo sul discreto.

“Non le vediamo tutte le cose né tanto grandi quanto sono ma la nostra vista si apre la via per investigare e in modo che la ricerca passi da ciò che è evidente a ciò che è oscuro” (Seneca) infatti la fisica conosce il 95% dell’universo e molte sono le questioni aperte come spiega Guido Tonelli a proposito della materia oscura.

I ricercatori hanno compreso solo il 5% del cervello che si conferma una struttura complessa, con i suoi 80 miliardi e più di neuroni, e pertanto è facile ipotizzare che per fare luce sulla sua struttura sia utile ricorrere alle teorie del caos.

Per “vedere” un “micro-oggetto” dobbiamo agire su di esso con strumenti, che modificano le condizioni del sistema: il soggetto non è “esterno” ai fenomeni, osservatore e oggetto osservato sono inscindibili.

Particelle e teoria della probabilità

La meccanica quantistica rimette in discussione le nostre pretese di conoscere la materia mentre di essa individuiamo una parte cioè le particelle che, per giunta, si divertono a presentarsi e rapportarsi in modi singolari e inspiegabili.

“La fisica si occupa solo di quanto possiamo dire della natura, la quantistica si pone la domanda ‘quale particella vede un’altra?’ e della proposizione ‘ci sono eventi e non enti’ ovvero si chiede quali siano le interazioni delle particelle elementari nella materia, nella realtà della natura” (Bohr) e la risposta è che l’elettrone esiste nel relazionarsi con altri elettroni: è la fisica quantistica relazionale.

Le particelle non sono oggetti e non si sa quale spazio occupino infatti sul loro stato possiamo solo pronunciarci in termini probabilistici e solo nel misurare un elettrone ne veniamo a conoscenza: “lo stato che si misura non è preesistente ma è creato nel momento della misurazione” (Faggin).

E’ impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un atomo: interviene il principio di indeterminazione che va a confliggere con le nostre pretese di precisione ed oggettività.

Due particelle, se in un primo momento, vengono a relazionarsi tra loro continuano a mantenere una connessione anche quando si ritrovano separate infatti nel misurare l’una, persistendo la distanza tra loro, anche l’altra viene ad essere investita di questa misurazione: le due particelle sono ‘entagled’ e rappresentano un unico stato quantistico ovvero sono una sola particella.

L’entanglement quantistico

L’entanglement permette la nascita della tecnologia, apre alla comprensione di eventi e fenomeni della natura ed è paragonabile all’indecidibilità del teorema di incompletezza di Gödel in matematica ed al principio di indeterminazione di Heisenberg per le conseguenze cui conduce mentre resta inspiegato.

Sic stantibus res, c’è da chiedersi che ne è della concezione e definizione di spazio-tempo: tutto è rimesso in discussione, a ricordarci che la crisi dei fondamenti è più che… profonda anche in fisica.

I fisici non possono affermare di essere meno ‘evanescenti’ dei filosofi, non avvezzi alla rigorosità come da vulgata, infatti parlano di entità che si ipotizzano esistenti ma di cui non sanno l’esistenza e non sanno come e quando la dimostreranno: i fisici sono… metafisici?

Il modello quantistico della mente di Roger Penrose

Si può ipotizzare che mondo fisico e coscienza siano l’uno l’hardware e l’altra il software del mondo: la coscienza come declinazione e qualità connaturata alla materia.

Se la massa equivale all’energia la coscienza si potrebbe dire sia un aspetto, una modalità dell’energia-materia.

Per Roger Penrose la mente non è riconducibile alla computazione, il fisico colloca la coscienza negli interstizi tra le due dimensioni della fisica classica e della quantistica. In questo modo unifica relatività e meccanica quantistica.

Il ‘cocktail’ di Penrose è più che singolare: c’è un tantino di vuoto ovvero quello di Planck meglio conosciuto come “schiuma” quantistica, una dose di relatività quindi di spazio-tempo e materia-energia.

Roger Penrose i neuroni presentano microtuboli attraverso cui alimentano le cellule, la loro è una struttura frattale ove si ottiene la stessa figura cioè la forma o lo schema in ogni parte e all’infinito: qui si sviluppano processi di stampo quantistico.

Senza i microtuboli non si dà coscienza, è in essi che l’entaglement genera la consapevolezza di sé stessi: la coscienza segue le regole vigenti nella meccanica quantistica.

La scienza, l’esistenza e l’esperienza personale

Per i fisici il tempo presente-passato-futuro non esiste mentre l’individuo calato in una dimensione temporale finita non ne è persuaso: il tempo viene declinato in modo differente da persona a persona.

La vita contempla desideri, sogni, vittorie, sconfitte, gioia, dolore e ricordi che costituiscono per ognuno la coscienza come esperienza unica e non replicabile.

Ad un mondo che voglia ridurre tutto a calcolo, tecnica e classificazioni si contrappone sempre un umano non del tutto misurabile: l’individuo è indeterminato, imprevedibile, singolarità irriducibile, il suo è l’orizzonte delle possibilità e delle scelte e dello scacco che fa scoprire il senso del limite.

Il pensiero, come la frontiera, ha con sé l’inesplorato, l’inconoscibile e richiede più knowledge collaborativo e non l’inveterata hỳbris in quanto “L’immagine dell’uomo come microcosmo riflesso del macrocosmo conserva il suo valore: chi conosce l’uomo conoscerà l’universo” (Renè Thom).

Un modello topologico della coscienza: il TMC ovvero the Topological Model of Consciousness

Ogni teoria, congettura e ricerca sono occasione di confutazione e possono aprire a nuovi percorsi perché “l’universo, oltre i limiti di questo nostro mondo, è infinito” e “la mente vuole sapere che cosa vi sia al di là”  e  “procedere fuori dalla via battuta”, come ricorda Parmenide: il metodo più confacente per la scienza e per una riflessione sulla coscienza e sulla mente.

La nostra mente pensa… la mente con la… mente, all’interno del proprio pensare: mentre il metodo scientifico è oggettivo e replicabile: una differenza non da poco.

Immaginiamo un disco in cui sia incisa una musica infinita i cui confini e l’orizzonte degli eventi sono ben delineati come la forma di disco, ma di cui impossibile percepire e calcolare l’itinerario interno.

Quando il sapere ha di fronte a sé la forma completa di un disco può definire l’evoluzione complessiva, può dare qualche ordine al disordine. Lo stesso soggetto visivo, all’interno del disco, non riuscirebbe mai a stabilire un itinerario, un senso, una conoscenza, un ordine.

Il metodo ermeneutico e qualitativo della teoria delle catastrofi di René Thom ha avuto feconde applicazioni in molte discipline: l’economia, la sociologia, la politica, l’etologia, la psicologia, la biologia e le scienze umane e “può apportare anche nell’indagine sulla coscienza contributi chiarificatori tramite Un modello topologico della coscienza: il TMC ovvero the Topological Model of Consciousness” (G.Plescia).

Morfologia del vivente e singolarità di Renè Thom

In biologia si fanno ipotesi e s’introducono sistemi di analisi e previsione morfofilogenetiche da Goethe a Geoffroy-Saint-Hi-laire a d’Arcy Thompson che con “Growth and form” fonda la morfogenesi: lo studio delle forme dei mondi animali, vegetali in breve della sfera biologica col ricorso alla matematica per la descrizione delle forme di una pianta, un animale, una cellula o una goccia perché “Per capire come un corpo si accresca e lavori, la fisica è l’unica maestra e guida”.

Un esempio per tutta la sua procedura è il ricorso alle serie di Fibonacci gli consente la descrizione dello spazio entro cui si dispiegano i fiori o le foglie.

C. H. Waddington conia un termine “Creode chre, necessità e hodos, sentiero” per illustrare la sua teoria del biologico e la esemplifica come una palla rotolante da una collina la cui conformazione “costringe” nel senso che la indirizza lungo un tracciato ma traiettorie e struttura possono essere modificate da elementi, eventi o fattori interni o esterni.

Per la morfologia del vivente la forma non appare come un dato ma come un processo, come l’esito di metamorfosi regolate da leggi geometrico-topologiche.

Questo retroterra consente a René Thom l’elaborazione della sua teoria delle catastrofi: “Ci si dovrebbe chiedere se la maggioranza delle forme biologiche non sono costrette, a causa della loro stabilità interna, a una fissità di principio, così che il salto da una ‘forma-tipo’ ad un’altra dovrebbe determinarsi molto rapidamente catastroficamente” (Thom).

La teoria della complessità e del caos

La conoscenza è un sistema complesso: si conoscono non elementi separati dal contesto ma configurazioni e rapporti dinamici tra essi: è la concezione della conoscenza come relazione e come conoscenza di relazioni.

Il paradigma della complessità contrappone alle traiettorie lineari della fisica classica, forme inaspettate e fenomeni di cui non possiamo prevedere l’evoluzione a partire delle condizioni iniziali: la realtà è un nodo di relazioni dal comportamento disordinato.

Le acque, le nuvole, le nubi, i sassi, sono lì davanti a noi la loro consistenza, forma, stabilità eppure cambiano e si trasformano: “non si può scendere due volte nel medesimo fiume” ammonisce Eraclito cui fa riferimento la Teoria delle catastrofi di René Thom

L’immagine retinica di un oggetto percepito varia in continuazione, tuttavia esso viene percepito come lo stesso oggetto finché le sue variazioni non lo perturbano troppo: è questo il problema della stabilità strutturale e del cambiamento.

Esiste uno spazio non conosciuto, non ancora osservato e verificato: è tale in quanto ‘collocato’ al di sotto della regione di Planck che ne ha quantificato la lunghezza ≈1,616252×10−35 m dove si dispiegano le leggi della meccanica quantistica.

Con la geometria dei sistemi dinamici si dà centralità a fenomeni al di sotto dell’intervallo della misura fisica: una variazione, una fluttuazione non misurabile, un “non-nulla”, al di sotto della misura, può determinare l’evoluzione di un fenomeno.

Le forme hanno una loro dinamica e, accanto ai domini di stabilità, si osservano situazioni nelle quali piccole modifiche provocano grandi cambiamenti, allora emerge una nuova forma, cioè si produce una catastrofe, un nuovo livello di stabilità strutturale del fenomeno di cui si occupa la morfogenesi tramite i modelli catastrofici ed i concetti di isteresi, pregnanza, salienza, singolarità che forniscono intelligibilità ad eventi apparentemente molto diversi tra loro.

Il dato di osservazione è dotato di una struttura e di un’organizzazione (le pregnanze), che l’uomo, grazie alla sua capacità di modellizzare, giunge a rappresentarsi.

Conclusione

“Non è impossibile che la scienza sia vicina alla sua ultima possibilità di descrizione finita; l’in-descrivibile l’informalizzabile alle porte e dobbiamo raccogliere la sfida. Da questo punto di vista, i nostri metodi, in sé troppo indeterminati, condurranno ad un’arte dei modelli e non ad una tecnica standard esplicita una volta per tutte” (Thom)

Gli eventi mostreranno la bontà o meno delle tante teorie sull’io, la mente e la coscienza che si confrontano.

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