Il problema della giustizia in Italia. Il reclutamento dei magistrati

Politica

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Il pensiero libero di Luigi Mazzella 

Anche chi non crede in una Giustizia Divina (non ritenendo convincenti le asserite prove dell’esistenza di un Essere superiore all’Uomo) è indotto a pensare (“un po’ per celia e un po’ per non morir”, direbbe Puccini) che vi sia una Giustizia Umana, il cui concetto, però, è piuttosto complesso. 

Aristotele provò a semplificarlo riducendo la Giustizia da Virtù generale a Virtù particolare, consistente nell’osservanza delle norme che specificamente regolano i rapporti degli esseri umani tra di loro, ma la complessità restava nella varietà di tali regole (giuridiche, etico-sociali, religiose). 

Furono i Romani, come in altri campi, a fare chiarezza e a restringere ulteriormente almeno il concetto di giustizia punitiva all’infrazione del principio del neminem ledere, individuando nella violenza e nell’inganno i soli comportamenti da reprimere. 

Le complicazioni, però, ritornarono con le concezioni universalistiche, religiose o filosofiche, che estesero il campo dell’etica al sesso (morale sessuale) e alla società (giustizia sociale).

Gli Anglosassoni, eredi dei Romani (per la visione empiristica e pragmatica dei fatti della vita) compresero che di fronte a una tale complessità di rapporti, dovessero chiamarsi giudici di grande maturità ed esperienza per scioglierne i nodi.  

Gli illuministi Inglesi, di diversa formazione culturale e filosofica rispetto a quelli francesi e operanti in un ben diverso contesto politico, avevano opinato che la giustizia dovesse essere espressione dello Stato-Comunità (cioè, dei cittadini) e che la scelta di Commissioni di esperti, elette ad hoc (quindi non stabili e durature) dovesse cadere su candidati con particolari caratteristiche di professionalità e di comprovata competenza. 

Contrari a consentire, oltre i limiti dell’amministrazione attiva, l’espansione del potere politico, gli Illuministi inglesi avevano pensato di impedire allo Stato-Amministrazione (quasi sempre gestito autoritariamente) di essere arbitro del destino dei cittadini che incappavano in violazioni della legge.

In direzione opposta, si erano incamminati, invece, gli abitanti della parte continentale dell’Europa. 

In Francia, Jean Baptiste Colbert, il Ministro super-fidato del Re Sole aveva voluto magistrati-impiegati dello Stato, selezionati, con prove di un concorso eminentemente nozionistico (quando non viziato), bandito dall’Amministrazione dello Stato. Il fine precipuo era quello di garantire soprattutto fedeltà e riconoscenza al monarca-datore di lavoro.

L’opzione era coerente con l’intento dell’astuto Colbert di rafforzare l’assolutismo regio e piacque, ovviamente, a tutti gli Stati Eurocontinentali governati da Teocrazie, Monarchie, Dittature e Signorie Feudali di vario genere.

Era prevedibile che con il passare del tempo e con l’evolversi delle realtà politiche, tale scelta ingenerasse qualche sospetto negli individui di tendenze liberal-democratiche, contrarie a ogni potere dispotico; eppure ciò non avvenne (e non avviene).

Anzi: il problema del meccanismo di reclutamento dei magistrati, per ciò che riguarda l’Italia, continua a essere affrontato con battute ad effetto, che vogliono essere spiritose e tendono soprattutto ad evitare ogni approfondimento.

A chi propone di cambiare registro e prevedere magistrati elettivi per le cariche di vertice, si risponde con sufficienza che basta considerare la “qualità” dei membri del Parlamento per capire che il rimedio sarebbe peggiore del male.  Tali battute troncano sul nascere ogni seria discussione su un tema delicatissimo.

Eppure, gli effetti della scelta dell’una o dell’altra soluzione non sono di poco conto.

Con ciò, non si vuole dire che l’infiltrazione di regole religiose, sessualmente repressive, nelle norme di comportamento degli esseri umani non provochino decisioni sconcertanti anche nel mondo anglosassone, ancora dominato dal Puritanesimo anglicano. 

Il “caso Jeffrey Epstein” in Nord-America è sintomatico di quanto le vecchie generazioni possano nuocere con il loro inveterato e sessuofobico bigottismo

a una giustizia che finisce con l’essere “vendicativa” nel senso peggiore della parola.  

Ma il sistema di reclutamento lasciatoci da Mussolini e dal Re d’Italia, e prima di essi da Napoleone Bonaparte, da Luigi XIV e dai suoi successori, non dà di certo risultati migliori.  

Giudici e pubblici accusatori, inquadrati nel pubblico impiego (oltretutto in età precedente a ogni esperienza giuridica veramente valida, concreta e a prove di maturità umana) non possono corrispondere (e non hanno mai corrisposto) alle aspettative di popoli veramente liberi. 

È vero che l’esercito dei burocrati, amministratori e dispensatori di giustizia, aveva convinto anche i figli dell’Illuminismo e i rivoluzionari francesi ma se essi avevano decapitato il discendente di Luigi XIV avevano del tutto dimenticato di accendere “le loro luci” sulle incongruenze di una giustizia amministrata da impiegati dello Stato. 

Anzi: quei rivoluzionari illuminati, divenuti successivamente artefici di uno spietato Terrore avevano trovato comodo utilizzare quei fedeli servitori pubblici per seminare paura e distruzione tra i cittadini meno proni al volere dei nuovi capi. 

In conclusione, mentre si straparla di riforma della Giustizia, l’Italia è ancora all’ABC di ogni serio discorso in proposito.

I vincitori di un concorso di primo grado di modeste difficoltà (fatto subito dopo la laurea in giurisprudenza con le “nozioni” apprese nei banchi universitari da docenti che non hanno mai messo piede in un’aula giudiziaria), gestito dal Ministro della Giustizia, pure essendo assolutamente inadeguati a soddisfare le esigenze di un Paese evoluto e civile, sono gli arbitri indiscussi e indiscutibili della sorte giudiziaria dei cittadini.

Le suggestioni, gli intrighi, le contrapposizioni e le divaricazioni esistenti nel potere politico si riflettono, inevitabilmente, sull’operato dei magistrati. 

La “Costituzione” della Repubblica Italiana avrebbe potuto cambiare la situazione preesistente; com’era giusto che fosse, essendo storicamente certo che il Regime fascista aveva mutuato da Napoleone Bonaparte i metodi inquisitori tipici dei governi dispotici. 

Senonché, l’unico cambio fatto dai nostri Costituenti è avvenuto in peggio.

La “trovata” è stata quella di sottrarre i pubblici accusatori a ogni ipotizzabile controllo del Parlamento (con l’indicazione prioritaria dei reati da perseguire) o del Ministro della Giustizia (comunque politicamente responsabile, com’è in Francia) e li ha resi indipendenti da tutto e da tutti. È stata, quindi, quella che comunemente si dice “una pezza peggiore del buco!” 

Il sistema, adottato da “fior di dittatori”, è stato accettato dai Padri Costituenti della Repubblica Italiana (sulla scia, peraltro, di tutti i Paesi della parte continentale Europea, da due millenni adusi all’ossequio del potere politico) senza “battere ciglio”. 

Il tentativo di eliminare l’arbitrio di una discrezionalità intollerabile per il sospetto di un uso politico degli avvisi di garanzia, con l’obbligatorietà dell’azione penale, si è dimostrato fallimentare, per la massa ingente e crescente dei processi. A scegliere discrezionalmente è sempre il pubblico ministero.              

Nessuno, d’altronde, tranne chi scrive (in un articolo apparso su Mondoperaio nel 1982!!), ha mai neppure    proposto, insistendovi, la separazione delle carriere di giudice e di pubblico ministero.

Il “super-potere” giudiziario, per l’immancabile (e forse anche non richiesto) aiuto del megafono mass-mediatico, ha provocato uno sconquasso irrimediabile nella vita dei cittadini, aggiungendo paura a paure. 

Naturalmente, non v’è potere statale che possa arrestare la marcia delle toghe senza un rivolgimento totale delle norme costituzionali in materia. 

La presenza ingombrante di una magistratura che progressivamente e senza alcun possibile controllo si è sentita “chiamata a tutto” rende, inoltre, molto più problematico l’avvio dei pochi pubblici investimenti consentiti dall’Unione Europea (già ostile per suo conto, com’è purtroppo noto, alla produzione industriale). 

Infine: la sempre più penetrante interferenza dei magistrati in tutte le funzioni pubbliche, comprese quelle di difesa dei confini della Nazionerende il problema della riforma della giustizia in Italia un’emergenza nazionale. 

 

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