L’email che non inchioda Trump

Mondo

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[Carta di Laura Canali]

di Federico PetroniNiccolò Locatelli

THE DAILY TRUMP

Nuova ma non decisiva puntata dello “scandalo” Trump-Russia.
Donald Trump Jr., il figlio maggiore del presidente, prima di incontrare durante la campagna elettorale emissari russi che offrivano materiale compromettente su Hillary Clinton, era stato informato in un’email che tale iniziativa era parte di un piano di Mosca per aiutare il candidato repubblicano a vincere le presidenziali.
Il mittente della mail e intermediario dell’incontro è un cittadino britannico ex giornalista di tabloid: non il più attendibile dei profili, per quanto le interferenze filotrumpiane della Russia prima delle elezioni dell’8 novembre siano ormai assodate – l’alterazione dei risultati da parte di Putin è invece esclusa.
La ricerca di materiale che possa danneggiare il candidato avversario (oppo research) è prassi consolidata nelle elezioni statunitensi e il ricorso a fonti straniere non è ignoto neanche a Hillary Clinton. C’è però una differenza decisiva agli occhi dello Stato profondo Usa (comunità dell’intelligence, dipartimento di Stato, Pentagono), che guarda con scetticismo alle aperture di Trump verso Putin: la candidata democratica ha ottenuto l’aiuto di un paese amico di Washington come l’Ucraina, non di uno dei suoi principali avversari strategici – per quanto “regionale” – come la Russia.
Le rivelazioni di questi giorni si inseriscono proprio nel filone degli oscuri rapporti tra la campagna dell’allora candidato repubblicano e il governo di Mosca. Lo stillicidio mediatico, politico e giudiziario ha l’obiettivo ultimo di tenere a bada l’attuale presidente: eccessive aperture ai russi o eccessive chiusure alle indicazioni degli apparati potrebbero costargli caro.
L’impeachment pare da escludersi almeno fino alle elezioni di medio termine del 2018 – a meno che i candidati repubblicani non capiscano prima che l’uomo alla Casa Bianca è tossico per le loro speranze di (ri)elezione.

Intanto, l’inquilino della Casa Bianca prosegue lo smantellamento dell’eredità di Barack Obama. L’amministrazione pianifica di cancellare il programma che concede un permesso di soggiorno di 30 mesi rinnovabile agli imprenditori stranieri che hanno ottenuto finanziamenti governativi da 100 mila dollari o privati da 250 mila. Determinato – specie in materia d’immigrazione – ad apporre il segno meno a ogni iniziativa del predecessore, Trump rischia di ledere anche uno dei pilastri della grandezza dell’America: l’attrazione dell’innovazione.
Non è il caso di questo specifico programma (troppo contenuto nei numeri per invertire una tendenza consolidata) ma è il segnale di come  la visione del presidente confligga con l’estroversione dell’impero presieduto dal suo paese.
Infine, i consiglieri politici del presidente non sono del tutto convinti di delegare il dossier Afghanistan al Pentagono e hanno valutato l’opzione di aumentare drasticamente numeri e responsabilità di aziende private di sicurezza, fra cui quella di Erik Prince, già boss della famigerata Blackwater, che è stato ascoltato alla Casa Bianca.
Segno ulteriore della tendenza Usa ad affidarsi ai mercenari negli angoli più intrattabili del pianeta.


Carta di Laura Canali

BOOM DELL’EXPORT DI PETROLIO USA

Secondo uno studio di Pira Energy, nei prossimi tre anni gli Stati Uniti quadruplicherannol’esportazione di petrolio. Il paese entrerà fra i primi 10 venditori al mondo di greggio e derivati, complicando ulteriormente l’equazione petrolifera globale e mettendo sotto scacco i produttori dell’Opec che faticano a rialzare il prezzo del barile.

Commenta per Limesonline Marco Giuli:

Entro il 2020, gli Stati Uniti potrebbero essere in grado di esportare 2,25 milioni di barili al giorno. Una previsione che sembra confortare l’ambizione del presidente Trump di fare degli Usa una “superpotenza energetica”, sebbene il concetto sia stato declinato più nella forma di uno slogan diretto a un pubblico domestico che di una dettagliata dottrina di politica energetica.

The Donald sembra segnalare che l’abbondanza di idrocarburi segnerà il passaggio da un approccio strategico all’energia, necessaria componente del ruolo egemonico statunitense nel sistema internazionale, a un’offerta di disponibilità commerciale. Non necessariamente una rivoluzione rispetto all’amministrazione Obama, che aveva già rimosso le maggiori restrizioni burocratiche all’esportazione di petrolio e gas statunitensi.

Il petrolio degli Usa ha già esercitato il ruolo di game changer geopolitico negli ultimi anni, agendo tuttavia più sul lato della domanda interna che su quello dell’offerta internazionale. L’alta flessibilità e i limitati costi fissi dell’estrazione di scisto consentono una facile entrata e uscita dal mercato. Di conseguenza i costi operativi dell’estrazione, funzione della tecnologia disponibile, rappresentano oggi un vero e proprio tetto ai prezzi mondiali.

La potenziale crescita della presenza del petrolio Usa sui mercati rappresenta ovviamente una buona notizia per gli importatori – prima di tutto Europa ed Estremo Oriente – e una notizia meno buona per gli esportatori, principalmente Russia e Opec.

 

SOFFIATA SUL QATAR

La Cnn ha ottenuto le carte degli accordi stretti nel 2013-14 dal Qatar con i vicini arabi del Golfo in cui il piccolo emirato si impegnava a smettere di sostenere le opposizioni nei paesi interessati, oltre che in Egitto e Yemen.
Chiaro l’intento della soffiata: inchiodare Doha alle proprie promesse e complicare il tentativo del segretario di Stato Usa Tillerson di terminare il boicottaggio saudo-emiratino.
Proprio da Doha oggi il responsabile della diplomazia statunitense ha detto di considerare “ragionevoli” le posizioni del Qatar. Domani a Riyad proverà a convincere i sauditi.


GIAPPONE CHIAMA RUSSIA

Il Giappone chiede apertamente alla Russia di giocare un maggiore ruolo nei tentativi internazionali di risolvere pacificamente la crisi nordcoreana. I due paesi non sono alleati, complici l’asse sino-russo del gas e la disputa sulle isole Curili, ma Tokyo sente che i sia pur riluttanti Stati Uniti si avvicinano all’operazione militare contro P’yongyang e i suoi programmi nucleare e missilistico.
Quindi il premier Abe si gioca tutte le carte per espandere le già strette vie diplomatiche, ben sapendo che la rappresaglia del regime dei Kim rischierebbe di estendersi non solo a Seoul, ma pure all’arcipelago nipponico.


FARCOLOMBIA

Il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha firmato il terzo e ultimo decreto di amnistiaper i guerriglieri delle Farc, portando così a 7 mila il totale degli ex combattenti amnistiati. Si tratta di un ulteriore, determinante passo per chiudere il conflitto più lungo della storia del paese, anche se restano altre incognite sull’esito del processo. Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha dato il via libera alla missione di monitoraggio internazionale che partirà da settembre.

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