Gli occhi di Giotto raccolta di poesie

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Gli occhi di Giotto, parola silenziosa nella poesia di Maria Pia Latorre e di Marica Mastrorocco

BARI – E’ poesia moderna quella della Latorre che frange l’asse logico-razionale della tradizione classica per affidare all’intuizione pre-logica, la sua ispirazione. Cebete di Tebe, nel Fedone di Platone, fu il primo a parlare di un fanciullino che è dentro di noi e che, oltre ogni ragionamento, si ritrova spaurito dinanzi “alla morte come di visacci d’orco”.

Figura ripresa magistralmente nel Fanciullino di Pascoli, testo celebre di poetica in cui l’anima del poeta è capace di cogliere nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima e di pronunciare quella parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe pronunciata, ma a sentirla ognuno riconosce come propria. E’ questa l’attesa del poeta quando affida al foglio bianco la sua parola, come ogni espressione d’arte non può prescindere da un destinatario che la faccia rivivere in sé e la ricrei secondo la propria storia. Non ingenuità ma innocenza quella del Fanciullino, tale da provare stupore e meraviglia dinanzi al mistero della natura. Gli occhi di Giotto è il titolo della raccolta e il cane Giotto è il motivo ispiratore di una delle liriche, forse a significare che quello sguardo può essere in grado di vedere quanto la ragione non vede. Il desiderio di percepire il segreto di ciò che appare nella sua bellezza, andando anche oltre l’aspetto fenomenico, fin all’essenza ha suggerito la metafora del poeta veggente di Rimbaud e di quanti come lui, Baudelaire, Mallarmè, Pascoli, Ungaretti  hanno tentato di travalicare i limiti della realtà. Per questo anche la poesia della Latorre è breve, il verso è spezzato, la paratassi rinuncia persino ai nessi coordinanti, pochissime le virgole per far posto alla sola parola. Trovare la parola per quel foglio bianco, quel significante che sta sempre troppo stretto per un significato che trasborda.  “Una parola silenziosa”, dice la scrittrice nella prefazione che, nell’efficace ossimoro, introduce a quella dimensione dell’ascolto così necessaria per chi vuol dire una cosa vera, l’ascolto della voce dell’universo.

“Parole” s’intitola la lirica che chiude la raccolta: “Ho plasmato parole/a fior di labbra/schegge iridescenti/parole si fanno silenzio.

I quattro elementi archetipici, la terra, l’aria, il fuoco e l’acqua che nella speculazione presocratica, si ponevano all’origine del mondo, si fondono nella poesia della Latorre a ricomporre il tutto in cui l’anima si immerge  e a cui tende  ricongiungersi . Giovano le metafore e le sinestesie per unire l’aria e l’acqua. Gli assi semantici s’intrecciano tra il cielo e il mare.

 Nell’ “Albero di jacaranda”:  “fluttua un vascello in cielo”;  in “Paesaggio alpino” si legge: “nuotano uccelli”; “rami schiumosi”; “marinai dalle scarpe chiodate”.

 Una visione panica che, se non si distinguesse la creatura dal creatore, rischierebbe di essere totalizzante, il grande ventre della natura da cui ci si sente attratti e in cui si desidera perdersi. Vengono in mente alcune pagine dello Jacopo Ortis in cui il protagonista anela di perdersi e ridiventare tutt’uno con la natura.

In una lirica intitolata “ Mare” elemento particolarmente caro alla poetessa, è tutto il fascino del  richiamo dell’immensità: “Come una bestiola/al suo primo viaggio/sorrido all’amico/dalle braccia d’alghe/instabile

/M’immergo/in un guizzo/rispunto più gaia/bevo orizzonti d’azzurro/brulichio di cristalli/ubriaca d’immensità;

Un abbraccio del “Mare in concerto”:“acque materne dita/ci accarezzano/e cristalli a gote a gote/stillano cielo.

Un grande amore per la vita ispira tutta la poesia della Latorre anche quando la vita è dolore e rimedio a questo, è diventare natura:

ne “I Grigi”: “se mi assale il dolore/mi tolgo di dosso la vita/e sono prato e cielo”.

La dimensione temporale è il presente con le sue emozioni, l’esperienza della poetessa è qui ed ora (hic et nunc) e di questo presente si ricerca il senso, nell’eterno dualismo tra bene e male:

“Vita straccia”: “ brandelli sfilacciati…..rovisto…ricucio tele ed emozioni/cerco la trama/il bandolo l’ordito.

E’ forte il desiderio di partecipare alla vita e la poesia diviene un luogo di libertà in cui esprimere il proprio pensiero: “Tra bene e male”: “Scrivo un delirio di poesia/per partecipare alla vita/per dire la mia”.

La poetessa comunica un’eterna sete di vita ed individua un rimedio assai semplice per poterla afferrare: “Eterna sete”:“basta lasciarsi vivere/e scoprire la vita…/meglio/stare in silenzio/a contemplarla.

Ma la vita introduce all’eternità, è questo il desiderio più grande della Latorre e forse il suo dolore più grande perché è solo un intravedere cosa potrebbe essere il tutto, di per sé inimmaginabile e incommensurabile rispetto alle “misure umane”:

“Rip”: “solo vaga spettrale/apparizione della vita/in finzione d’eternità”.

La poesia interpreta pensieri, sentimenti, emozioni e traccia piste di comune sentire.

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