Questo verso meraviglioso e profetico estratto da Tradimento e perdono di Antonello Venditti, scritta nel 2007, ricorda il capitano della Roma Agostino Di Bartolomei, morto suicida nel 1994.
Venditti ritiene responsabile del gesto la società che spesso induce a compiere gesti insani a chi si sente solo e non sufficientemente amato.
Questo è il primo pensiero balenatomi quando ho appreso della morte di Diego Armando Maradona. Siamo sempre spettatori inermi di certi eventi. Ma chiediamoci: è stato fatto tutto il necessario perché l’evento non accadesse?. Certo, mutatis mutandis, Maradona è morto per cause naturali ma gli eccessi che hanno caratterizzato la sua esistenza inducono a riflettere su un uomo buono, generoso, leale in campo oltre ogni immaginazione e per questo i difensori lo testimoniano, ma fragile. La sua fragilità è stata la causa della rottura non di un legamento ma di un equilibrio interiore instabile. Le persone che lo circondavano hanno fatto il possibile, ma non è stato abbastanza.
Cosa ci rimane? Molto, un grande patrimonio che mi auguro che al di là dell’eredità possa beneficare i poveri dell’Argentina che tento amava e che, grazie agli appelli del Papa argentino, ha sempre aiutato e soprattutto l’attenzione ad uno sport fondamentale, il calcio che per ragioni fisiche è una tappa della propria vita, non la ragione principale della esistenza che resta la relazione. E in questa relazione per persone concrete, testimoniata dal suo soggiorno napoletano, è mancata l’attenzione per la persona in sé. Diego Armando rimane una persona e penso che dovunque egli sia, la misericordia di Dio impone a noi suoi tifosi di onorare il campione, rispettando le norme anticovid con mascherine e distanziamento sociale, senza distrarsi perché la vita di ciascuno è un bene prezioso nella consapevolezza che tutti noi nelle nostre vite dobbiamo essere dei “fantasisti” nel dare un calcio alle cattiverie, alle falsità e nel dare attenzione a chi vuole affermarsi e non ha i mezzi economici e professionali per farlo. La solitudine uccide e il denaro non è la nostra ricchezza. Il nostro bene più prezioso è l’umanità, il fatto di essere in relazione con gli altri. Uno dei libri più belli dell’Antico Testamento, poco letto, il Qohelet, ci invita a guardare alla realtà su questa terra in un orizzonte finito, da uomini in cammino più che da credenti, in cui cercare la felicità, la gioia di vivere. Se proviamo a tradurre la parola “Vanità” del primo versetto con “soffio”, come alcuni biblisti consigliano, cambiamo prospettiva sulla visione del mondo e della esistenza che può essere vissuta bene anche nel saper cogliere un soffio di aria fresca in una giornata afosa, che passa, ma ci ha accarezzato, provocandoci piacere. Illusione? Proviamo e ne resteremo incantati.
Non accada mai più che “Questo mondo coglione piange il campione
quando non serve più”.
Dario Felice Antonio Patruno