L’art. 49 della Costituzione

Politica

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Un articolo fondamentale che gli italiani non hanno letto e che pertanto è rimasto inattuato. Di conseguenza è rimasto inattuato il modello di democrazia dettato dalla nostra Carta.

In un articolo precedente osservavo che gli italiani non hanno voluto leggere gli artt. 48, 51, 60 e 49 mediante il quali i Padri costituenti hanno disegnato un Ordinamento che garantisce a tutti i cittadini il massimo di partecipazione democratica “razionalmente pensabile”.

Ora vorrei portare un modesto contributo alla promozione della lettura dell’ultimo degli articoli sopra citati. A questo scopo mi sarà permesso ricordare che ormai trent’anni fa per promuovere (non solo  la lettura) ma anche una concreta attuazione dell’articolo in parola presentai, nel corso del mio mandato di Senatore della Repubblica, il Disegno di legge n. 3047 il cui testo integrale è leggibile qui Disegno di legge 3047

Ecco ora uno stralcio della relazione.

“L’articolo 49 della Costituzione della Repubblica Italiana recita: “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”

La disposizione costituzionale in parola appare del tutto chiara: ribadisce la garanzia del diritto di associazione, già disposta dall’articolo 18 in via generale, in relazione a quelle particolari associazioni rappresentate dai partiti; afferma che tale diritto può essere esercitato, fatto salvo il rispetto delle norme penali, senza alcuna limitazione; prescrive però ai partiti che svolgano la loro attività per concorrere a determinare la politica nazionale, che in tal caso denomineremo partiti politici, l’obbligo di adottare il metodo democratico.

È da ritenere che l’obbligo suddetto sia prescritto sotto due aspetti:  a) per il primo ogni partito è tenuto ad agire con metodo democratico nei confronti degli altri partiti e dei cittadini in genere; b) per il secondo è tenuto ad adottare e ad osservare il metodo stesso nella propria organizzazione interna.

Rileviamo che il Costituente e il legislatore ordinario, mentre hanno definito l’obbligo in parola per quanto attiene al primo aspetto dettando norme per lo svolgimento delle elezioni degli organi costituzionali e per lo svolgimento dell’attività politica in genere, nulla ha disposto per l’attuazione dell’obbligo stesso quanto al secondo aspetto.

Pertanto non esiste oggi alcuna norma giuridica che consenta di giudicare se i partiti politici adottino e rispettino il metodo democratico nella propria organizzazione interna.

Si ritiene che la carenza normativa in questa materia sia stata e sia tuttora fonte di gravi rischi e abbia già comportato conseguenze negative per il funzionamento della vita politica e quindi per la società nel suo complesso.

Si constata infatti che i partiti politici sono lo strumento principale, per non dire unico, attraverso cui si determina la volontà politica nazionale in quanto essi sono le uniche associazioni che dispongono dell’organizzazione che consente di svolgere un’azione continuativa di orientamento dell’opinione pubblica e soprattutto di partecipare direttamente alle competizioni elettorali.

È facile intuire che, in assenza di qualsiasi vincolo giuridico, i gruppi dirigenti di qualsiasi partito abbiano la tendenza a conservare la propria posizione. È sempre possibile che essi, a questo scopo, adottino una prassi organizzativa tale che consenta loro sia di controllare l’accesso al partito accogliendovi prevalentemente persone di loro gradimento sia di procedere alla formazione delle cariche direttive col metodo della cooptazione. Tale prassi potrà essere di fatto adottata anche quando le norme organizzative del partito siano sostanzialmente fondate sul metodo democratico poiché i garanti dell’osservanza di tali norme sono gli stessi organi dirigenti.

Tutta l’organizzazione del partito in tal modo si svolge secondo le scelte discrezionalmente operate dai gruppi dirigenti i quali sono nella condizione di essere assolutamente svincolati da qualsiasi controllo e da qualsiasi responsabilità verso gli iscritti.

Può così accadere che i dirigenti dei partiti possano non solo decidere a loro discrezione le iniziative del partito ma decidere anche chi andrà a ricoprire le cariche nelle pubbliche istituzioni e, in definitiva, come dovranno essere condotte le istituzioni stesse. È evidente che quando ciò si verifica il sistema di democrazia rappresentativa stabilito dalle norme costituzionali risulta gravemente invalidato.

Il metodo democratico nella formazione della volontà politica viene così sostituito, prima all’interno dei partiti e poi all’interno delle istituzioni, dal metodo delle relazioni personali dei singoli con coloro che dispongono del potere politico.

Siamo in presenza di quel fenomeno che viene chiamato partitocrazia: il potere degli apparati dei partiti si sostituisce al potere istituzionale e il sistema democratico si trasforma in un regime oligarchico.

Detto fenomeno, oltre ad essere in contrasto con i principi democratici posti dalla Costituzione, è assai pericoloso perché instaura una spirale viziosa nella quale gli effetti negativi sono a loro volta causa di effetti ancora più negativi sia per le istituzioni che per la società.

Quando nella gestione delle pubbliche istituzioni prevalgono le relazioni personali la legge perde il suo ruolo di riferimento per i comportamenti individuali e i singoli sono sempre più indotti per qualsiasi iniziativa ad instaurare rapporti personali con coloro che esercitano il potere e sono in grado di favorirli o di ostacolarli. Nello stesso tempo un comportamento conforme alla legge viene generalmente ritenuto penalizzante per chi lo tiene.

Di conseguenza si attenua fino a scomparire l’impegno dei cittadini che intendono partecipare all’attività politica per perseguire l’interesse generale della società.

Di qui la spirale viziosa: meno democrazia meno rispetto per la legalità; meno rispetto per legalità meno democrazia.

Da ciò la conseguenza ulteriore inevitabile dell’aggravarsi dei problemi sociali che a sua volta renderà sempre più difficili forme di governo democratiche.

Il quadro sopra descritto vorrebbe rappresentare la descrizione di pericoli piuttosto che di eventi dannosi già accaduti. Risulta peraltro difficile ritenere che i fenomeni negativi sopra descritti non si siano già in qualche misura verificati. Si ritiene tuttavia ancora possibile, e per questo doveroso, mettere in atto ogni tentativo che li possa arrestare e contrastare.

Un contributo in tal senso potrà essere portato da tutte quelle iniziative che favoriscano l’instaurarsi della prassi del metodo democratico nell’organizzazione interna dei partiti. Fra queste ci auguriamo possa essere considerato il presente disegno di legge.

Le proposte in esso contenute sono rivolte all’individuazione dei contenuti minimi del metodo democratico da prescrivere, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, ai partiti politici che intendono partecipare alle elezioni degli organi costituzionali e beneficiare dei contributi finanziari dello Stato disposti dalla legge 2 maggio 1974, n. 195 (articolo 1).

In sintesi, ai partiti suindicati viene prescritto di approvare uno statuto che consenta: l’iscrizione di tutti cittadini italiani in possesso del diritto di voto, salvo che non risultino iscritti ad altri partiti; il diritto per ogni iscritto di essere membro dell’assemblea del livello organizzativo minimo nonché di essere eletto alle cariche direttive e rappresentative del livello stesso e a membro delle assemblee di livello superiore.

Lo statuto deve inoltre prevedere che le cariche direttive e rappresentative di ogni livello, nonché le designazioni a cariche pubbliche siano conseguite a seguito di elezioni da parte delle assemblee dei vari livelli, elezioni che dovranno tenersi a scrutinio segreto e con voto personale.

Competenza delle assemblee dei rispettivi livelli è l’approvazione dei programmi annuali e pluriennali del partito nonché dei bilanci di previsione e dei conti consuntivi. All’assemblea del massimo livello compete l’approvazione dello statuto.

Altra norma obbligatoria da recepire nello statuto è quella che prevede che presso ogni livello organizzativo siano tenuti i seguenti libri sociali: il testo dello statuto; il registro degli iscritti; il registro del patrimonio. Ogni iscritto avrà diritto di prendere visione e ottenere copia di detti documenti (articolo 2).

Dopo le norme obbligatorie riguardanti lo statuto, viene prescritto ai partiti: di depositare una copia dello statuto stesso presso gli enti locali, e presso la regione in cui svolgono la loro attività nonché presso il Ministero dell’Interno; di dare comunicazione agli stessi enti della convocazione delle assemblee nelle quali si svolgono le elezioni per le cariche direttive del partito e per le designazioni delle candidature a cariche pubbliche, nonché di depositare presso gli enti suddetti i verbali dello svolgimento delle assemblee stesse (articolo 3)

Ad ogni elettore è garantito il diritto di prendere visione e di estrarre copia dei documenti depositati presso gli enti stessi nei modi indicati dagli articoli 24 e 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (articolo 4)

A ciascun elettore è data facoltà di segnalare le violazioni delle norme sopra indicate al sindaco, al presidente della provincia, al presidente della regione i quali sono tenuti, a loro volta, a presentare rapporto di quanto a loro conoscenza in relazione ai fatti segnalati al Ministro dell’interno e all’autorità giudiziaria per i provvedimenti di rispettiva competenza (articolo 7).

Come si noterà la normativa su esposta si basa sui principi elementari del rispetto, della trasparenza e della responsabilità che devono stare alla base di qualsiasi convivenza democratica.

Si ritiene che solo se questi principi troveranno accoglienza nell’organizzazione interna dei partiti sarà possibile affrontare i problemi del rinnovamento delle istituzioni democratiche. In caso contrario, qualsiasi riforma istituzionale, più o meno radicale, non potrà che essere illusoria perché non eliminerà la condizione che vizia all’origine la volontà istituzionale cioè l’influenza dei gruppi che dispongono degli apparati organizzativi dei partiti.

Se invece, a seguito dell’entrata in vigore delle norme qui proposte, o anche di altre che si propongano il medesimo obiettivo, sarà possibile instaurare un costume democratico nell’organizzazione interna dei partiti è possibile confidare in una inversione delle tendenze negative di cui si parlava sopra.

Una volta data piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione, tutti cittadini potranno sentirsi garantiti non solo nel loro diritto di aderire ai partiti politici o di fondarne di nuovi, ma anche in quello di partecipare con il proprio contributo personale alle scelte dei partiti stessi e quindi alle scelte della politica nazionale.

Si ritiene che, raggiunto tale risultato, i cittadini dovranno prendere coscienza non solo di essere titolari dei diritti suindicati, ma anche del dovere di esercitarli.

Ognuno di essi dovrà assumersi allora la propria parte di responsabilità nel concorrere attivamente alla formazione della volontà politica nazionale.

È ragionevole ipotizzare che da questa ripresa della coscienza civica si possa formare un flusso di energie positive capace di rafforzare le istituzioni democratiche e di accrescere la loro efficacia di intervento per la soluzione dei problemi della società.

Pertanto si auspica che il presente disegno di legge possa essere quanto prima preso in esame dal Senato della Repubblica e, opportunamente integrato perfezionato dal dibattito, possa essere approvato.”

N.B. La data di presentazione è 13 novembre 1991.”

La discussione ovviamente resta aperta.

Giorgio Pizzol

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