Sbaraglia lo stato canaglia

Diritti & Lavoro

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In caso di decesso di un genitore ai figli minorenni lo Stato riconosce un assegno mensile pari ad una percentuale della pensione del genitore defunto che cessa al compimento della maggiore età. L’assegno continuerà ad essere pagato anche dopo il compimento della maggiore età, ma solo se i figli sono studenti ancora impegnati nella scuola media superiore e fino ad un massimo di ventuno anni, oppure universitari fino ad un massimo di ventisei anni o che risultino completamente inabili.  Il discorso diventa più complesso per gli studenti universitari, perché nei loro confronti entra in gioco quella meritocrazia diligentemente applicata  dallo Stato nei concorsi, nell’avanzamento di carriera, nei trasferimenti ed in tutte quelle procedure burocratiche svolte senza alcuna ombra di favoritismi,   raccomandazioni e pressioni politiche clientelari e pertanto nei loro confronti la pensione destinata ai superstiti spetta solo per la sola durata legale del corso di studi a condizione di non superare i ventisei anni di età, ma con il doppio limite che determina la cessazione dell’erogazione della prestazione per i periodi fuori corso, anche se lo studente ha meno di ventisei anni.  In pratica  se il figlio si iscrive a diciannove anni ad un corso di laurea della durata legale di cinque anni, la pensione viene pagata fino al ventiquattresimo  anno di età, indipendentemente dalla circostanza che a tale età lo studente si sia o meno laureato. Ma c’è di più, a proposito di “garanzie pubbliche” per affermare quello spirito di giustizia e di diritto di parte che lo Stato esercita a danno dei soggetti deboli, capita spesso che dopo  aver  raggiunto l’età pensionabile di sessantasette anni, il lavoratore dopo due o tre mesi muoia e qualora si tratti di un vedovo con un figlio che ha appena compiuto il ventiseiesimo anno di vita, lo Stato lascia in completo stato di abbandono il giovane e deliberatamente si appropria della somma pari ad oltre quarant’anni di contributi versati dal genitore deceduto, ovviamente  pretendendo il pagamento di tutte le tasse qualora il giovane ereditasse degli immobili. A pensar male verrebbe da dire Stato ladrone, ma lo Stato non è mai ladrone, probabilmente a parte le belle parole della Costituzione, tramontate insieme al sovranismo del popolo, i legislatori per poter colmare i lori sprechi e continuare ad affermare le loro modeste retribuzioni ed i loro privilegi, qualcosina di qua e di la devono pur rastrellare e pertanto poco conta se anni e anni di sudore, fatica e soldi versati nelle casse dello Stato dal de cuius, si traducono in un miserabile e disumano latrocinio ai danni dell’erede. Tutto questo accade per i comuni mortali, fatti salvi, probabilmente,  i vitalizi delle alte sfere politiche di cui godono mogli, mariti, figli, fratelli, che per anni o decenni sguazzano fra privilegi e ricchezza, sotto il manto dell’onorevole trapassato. Considerata l’incapacità dei governi di gestire con buon senso i soldi dei cittadini, andrebbe preso in seria considerazione il modello inglese: piena facoltà di smettere di lavorare in ogni momento, passando dalla cassa e ritirando in una unica soluzione tutto il dovuto, dopodiché il rapporto con lo Stato si conclude definitivamente. Ottima soluzione adottata dagli inglesi che scelgono di non rimanere ostaggi di un governo di incapaci e di uno Stato canaglia che usa le pensioni per finanziare un apparato mastodontico come l’Inps, con i costi del personale che gravano per quasi due miliardi di euro sui conti a causa di una lunga serie di onerosi incarichi esterni e più di diciassettemila  edifici inutilizzati, pari ad una perdita di oltre sessanta milioni di euro all’anno.  In definitiva in Italia va tutto bene e sprechi, privilegi, retribuzioni, incarichi e consulenze  d’oro non si toccano, solo che per aiutare a mantenere in vita questo Stato predone  gli eredi sono chiamati a rispondere  anche dei debiti del de cuius, ma non hanno diritto alla restituzione di tutti i suoi contributi versati e non goduti del loro caro.

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