Intervista alla scrittrice Angelica Lubrano

Arte, Cultura & SocietàLiguria

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Le interviste agli scrittori e alle scrittrici si pongono normalmente come obiettivo di penetrare il mondo della scrittura, conoscerne segreti e vezzi, imparare a carpire densità, colori e sfumature di chi ha deciso di rendere lo scrivere un’attività quotidiana. Nel caso di Angelica Lubrano abbiamo però voluto spingere il focus in una prospettiva ulteriore, per scoprire come definisce complessivamente la sua attività intellettuale e come nasca in lei la necessità di un impegno e di un intervento critico sulla realtà. I temi affrontati sono svariati e considerano il rapporto complesso tra le forme dell’arte e una società le cui repentine trasformazioni rendono non solo interessanti ma utili ridefinizioni semantiche e nuovi termini di linguaggio. 

D: Qual è oggi a parere tuo la funzione sociale dello scrittore? Può esprimere un valore in termini di “Sociurgia” (*)?

R: L’attività artistica di uno scrittore, di un pittore o di uno scultore può essere definita “opera sociale”, cioè una mission tesa a favorire la realizzazione di persone libere e responsabili? Sono personalmente convinta di sì. L’alternativa è la mercificazione fine a se stessa, cioè opere come i “cinepanettoni” per guadagnare. Insomma un fatto antico, ma esploso in modo virulento con la rivoluzione industriale: è l’alienazione dell’uomo, delle sue braccia, ma anche del frutto del pensiero di cui hanno parlato Fichte, Hegel, Feuerbach, Marx ed Engels…

D: L’arte può rappresentare una cura dei mali di questo mondo corrotto?

R: Rispondo con un brano della Prefazione del mio romanzo, ARON Delitti in Valbormida: “Anche se il panorama letterario sembra oggi privilegiare, assecondando il gusto del pubblico, il focus su personaggi negativi, maledetti, inquietanti, disturbati e crudeli, in un immaginario sociale percepito come malato e inemendabile, io, forse con qualche ingenuità, ho voluto ripristinare una delle più antiche finalità della letteratura: contribuire alla formazione di un’umanità migliore; tornare a credere nel ruolo della scuola, dell’amicizia, dell’amore, della solidarietà in un’epoca effettivamente ripiegata sugli aspetti meno edificanti del comportamento umano; naturalmente concedendo quel tanto alla creatività sufficiente a creare il piacere dell’intreccio e della suspense.”

D: La vera arte prevede un codice d’onore per il quale il messaggio sotteso alla propria opera vale per l’artista con lo stesso senso sacro della parola data?

R: Il messaggio, indicato esplicitamente nella Prefazione ad Aron, ma sotteso a tutte le mie produzioni letterarie (poesie, saggi, fiabe, filastrocche per i più piccoli) e anche ai dipinti e ai disegni, tengono fede a quel tacito impegno che chi legge le mie opere individua facilmente.

D: L’arte è una risposta concreta alle tante parole vuote di larga parte di intellettuali e politici?

R: Non so se siano vuote le parole degli intellettuali e dei politici, credo che l’insussistenza, la vacuità dei risultati abbia altre responsabilità: certo il Sistema Paese e le sue inefficienze, a me note, avendo lavorato per 9 anni in un Ente pubblico, prima dell’insegnamento, non aiutano neanche quei pochi attori pubblici di buona volontà. Dubito però che l’azione dell’arte possa essere definita “concreta”. L’artista non è che un “profeta disarmato”, consapevole che: “Senza una più attenta cura e attenzione verso l’ambiente, senza una profonda bonifica della politica e una lotta senza quartiere alla corruzione e alla criminalità, non resta che un declino disperato di questa nostra società” (da Aron).

D: La vera arte, nel caso tuo la scrittura, ha prima di tutto un valore di rappresentazione o uno di catarsi?

R: Una cosa non esclude l’altra e dipende dal genere. Nei romanzi come ARON o nei miei saggi come “Recupero delle Terre Marginali” prevale certamente la rappresentazione del mondo. Mentre nella raccolta di poesie “Geometrie Sentimentali” il processo più che di purificazione catartica è stato impormi “ordine geometrico”, grazie alle regole poetiche, nel caos indiscriminato delle passioni.

D: Tornando alla seconda domanda, se introduciamo il concetto di sociatria (**), mi pare che anche tu ti ponga sul fronte della sua affermazione nell’arte e con l’arte. Questo nella misura in cui la sociatria, attraverso l’arte, può generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno, scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso più ampio un rispetto dell’umanità. Più in generale, c’è l’attenzione posta verso l’apertura ad una visione culturale ampia, dove possibili intersezioni fra gli ambiti morale, artistico, economico, educativo, giuridico, religioso…, se da una parte spronano l’individuo alla risoluzione del contrasto di turno, dall’altra schiudono un percorso di crescita. Che cosa ne pensi?

R: Se il termine sociatria evoca, in generale, la forza salvifica delle alleanze sociali non posso che esprimere la mia completa condivisione. L’individuo, da solo, non è in grado di risolvere i problemi dell’umanità. E l’esperienza insegna che solo quando l’uomo ha posto in “rete” le sue conoscenze e  le sue attività di ricerca si sono ottenuti sviluppo economico e progresso scientifico, come la recente esperienza pandemica c’insegna. L’arte, però, proprio per la sua genesi individuale non è “sociale”, non cura, ma ha la capacità di consolare e di evocare utopie, E’ certamente possibile stringersi in un “movimento” culturale per arricchirsi reciprocamente di esperienze, come la storia dell’arte insegna, ma, ripeto, l’artista resta un “profeta disarmato” e profondamente solo. Altro discorso, poi, il contrasto alla povertà di pensiero, ai foschi dati relativi al fenomeno dell’analfabetismo, in ogni sua accezione, analfabetismo scolastico, funzionale o di “ritorno” come emerge desolatamente leggendo post e commenti sui social media. Oltre al basso numero di diplomati e laureati in Italia, va d’altra parte denunciata, grazie all’opera di Antonio Gramsci (in Letteratura Nazional-popolare) l’assenza storica di un canone nel quale un gruppo sociale (il proletariato) possa riconoscersi. Parlo di quella letteratura indirizzata a quella parte della società a lungo invisibile “il Quarto Stato” emerso dalle nebbie solo dopo la rivoluzione francese e, plasticamente, nel noto quadro di Pelizza Da Volpedo, ma che stenta ad affermarsi, malgrado la nutrita presenza di eccellenze artistiche da Pasolini a Caproni Su questo tema ci sarebbe molto da dire.

D: Viviamo un’era di repentine mutazioni, contraddittorie e talora devastanti, che si riflettono su espansione demografica, mercati finanziari ed economici allargati, nuove tecnologie e mezzi di comunicazione, ecc. che se da un lato uniscono, omologando, dall’altro dividono e annientano, non garantendo dalle molteplici forme del conflitto. C’è chi ha battezzato questa era “Globantropocene mediatizzato” (Globalizzazione+antropocene+mediatizzazione), ti pare un termine rispondente o una iper-aggettivazione senza costrutto?

R: I fenomeni legati alla globalizzazione purtroppo ci consegnano un pianeta che, nell’arco di pochi decenni, dalla caduta del muro e la fine del mondo diviso in blocchi, è cambiato profondamente.  Ha annullato le distanze, con trasporti sempre più rapidi e tecnologia digitale, ha allungato la vita media, ha anche ridotto la fame nel mondo e moltiplicato la popolazione (il 1 gennaio 1900 si contavano 1miliardo e mezzo d’individui, oggi siamo 7 miliardi), ma segnali inquietanti volteggiano sul nostro capo forieri di sventura (pandemie, guerre, recessioni, fenomeni naturali disastrosi, cambiamenti climatici). Incubi che chiamano ciascuno di noi all’impegno, ciascuno con i propri mezzi, anche perché, di fatto, manca una governance mondiale di questi eventi (J. Stiglitz – In un mondo imperfetto).

Note:

Per informazioni su Angelica Lubrano, vedere il suo sito: Angelica Lubrano poesie racconti riflessioni (lubranoangelica.it)

(*) “Sociurgia”. In alcuni ambienti della società civile, culturali ed artistici si sta discutendo e portando avanti la concettualizzazione di un termine innovativo: «Sociurgia» (un nome composto ibrido, latino e greco, che da societas, ossia «società», + ργον, ossia «opera», letteralmente significa «opera sociale»). Si denota quindi una funzione sociale attiva, operante, in cui la promozione e la divulgazione costituiscono una dimensione che sul fronte di cultura, arte, tradizione… inferisce tutto il resto, la conoscenza, la curiosità, la relazione, i valori sociali. Quella interdipendenza naturale, necessaria, etica che non concepisce cultura, arte, ossia tutto ciò che attiene lo spazio dello spirito, appunto, come luogo a parte, elitario e autoreferenziale, ma come bene pubblico. Mezzo comune di progresso e civiltà. Forse nulla di sostanzialmente nuovo, ma una rinnovata dialettica tra contenuti e forme, utile a creare movimento per recuperare dal passato insegnamenti, dalla presente nuova linfa e tentare di oltrepassare contraddizioni sotto gli occhi di tutti.

(**) “Sociatria”. Deriva da due termini: sŏcius, che in latino significa “amico” o “alleato”, mentre iatreia deriva dal vocabolo greco che corrisponde a “terapia” o “guarire”.  Nella lingua inglese. il termine “Sociatry” fu ideato da Jacob Levy Moreno, uno psichiatra rumeno, naturalizzato austriaco e statunitense, che, a metà del XX secolo, concepì innovative teorie e metodi basati su una nuova forma di ricerca attiva (action methods), oltre che su un nuovo approccio sistemico della psichiatria sociale. Fu, infatti, il creatore dello psicodramma, del sociodramma, della sociometria e di quella che egli chiamò la sociatria, la cura della società attraverso il gruppo.

 

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