Barriere architettoniche e discriminazioni: chi risarcisce il disabile?

Mancata rimozione delle barriere architettoniche: esclusa la responsabilità del Comune se l’azione amministrativa non rientra negli atti discriminatori contro il disabile

Noi e il Condominio

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Il Comune non è responsabile della realizzazione e mancata eliminazione delle barriere architettoniche presenti nell’edificio di edilizia residenziale privata. La responsabilità per le barriere architettoniche e discriminazioni nei confronti del soggetto disabile, che vive abitualmente nell’edificio, ricade esclusivamente sulla ditta costruttrice.

È errato ritenere il Comune responsabile, insieme al costruttore, per aver rilasciato, anni dopo, la concessione edilizia e l’agibilità nonostante la presenza delle barriere architettoniche. Se il Comune non è tenuto a nessun intervento diretto volto all’abbattimento delle barriere architettoniche, allora non è possibile far rientrare la condotta dell’ente negli “atti discriminatori” puniti dall’art. 2 della L. n. 67/2006.

È quanto emerge, in sintesi, dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 17138 pubblicata il 15 giugno 2023. La suprema Corte torna sul delicato tema dell’abbattimento delle barriere architettoniche, escludendo questa volta la responsabilità del Comune.

Il fatto

La complessa vicenda riguarda il ricorso proposto da un soggetto disabile ai sensi della Legge 67/2006 contro il Comune e contro i soci della ditta costruttrice di un edificio di edilizia residenziale privata.

Secondo il ricorrente, l’ente locale e la ditta avrebbero tenuto nei suoi confronti ripetuti atti e comportamenti discriminatori, impendendogli di fruire, a causa della presenza di barriere architettoniche, del diritto di accessibilità all’edificio in cui il ricorrente viveva insieme alla sorella, in un appartamento acquistato nel 2000. Per tali motivi, chiedeva il risarcimento dei danni subiti.

In particolare, la ditta era accusata di aver costruito l’edificio con barriere architettoniche e di non aver provveduto poi ad eliminarle (come previsto nei contratti d’acquisto). Al Comune, invece, veniva contestato il fatto di aver rilasciato la concessione edilizia in sanatoria (nel 2003) ed il permesso di agibilità (nel 2007) nonostante l’edificio fosse stato costruito in violazione della Legge n. 13/1989.

In primo grado, il tribunale accoglieva la domanda e condannava Comune e ditta costruttrice, in solido. Decisione poi confermata anche dalla corte d’appello.

Barriere architettoniche e discriminazioni

Secondo i giudici d’appello, anche il Comune sarebbe responsabile perché, rilasciando la concessione edilizia e l’agibilità, avrebbe in qualche modo “legittimato” gli illeciti commessi dai costruttori in fase di realizzazione dell’edificio, favorendo il protrarsi di comportamenti discriminatori contro il disabile. La Cassazione, invece, ha annullato la decisione ritenendo il Comune non responsabile.

Il ragionamento della Cassazione parte dalla legge n. 67/2006. Una legge che ha l’obiettivo di assicurare e promuovere la piena realizzazione, senza discriminazioni di alcun tipo, dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone, e specificatamente per quelle con disabilità, “allo scopo di colmare gli svantaggi propri di questi soggetti e di assicurare il rispetto del principio di parità di trattamento”.

Viene sancito il divieto di discriminazione delle persone disabili sia nei rapporto pubblici, che nei rapporto tra privati, e si pone una particolare tutela per tutte quelle situazioni in cui il disabile risulti destinatario di tali trattamenti discriminatori. Il soggetto che si ritenga danneggiato può chiedere al giudice il risarcimento del danno anche non patrimoniale, e può chiedere anche che il giudice adotti ogni provvedimento idoneo secondo le circostanze a rimuovere gli effetti della discriminazione.

La realizzazione o mancata rimozione delle barriere architettoniche subita dal ricorrente nel caso preso in esame rientra certamente nella nozione di “discriminazione” fornita dall’art. 2 della L. 67/2006.

Si tratta, in particolare, di una forma di “discriminazione indiretta” che determina “una condizione di svantaggio – costituita dalla lesione del diritto a poter accedere ed a potersi spostare dall’abitazione, ove era domiciliato, in maniera dignitosa – rispetto all’omologa situazione in cui si trovi la persona priva di disabilità”.

Quando il Comune può ritenersi responsabile?

Nel caso preso in esame, dunque, non vi sono dubbi sul fatto che il soggetto disabile abbia subito comportamenti discriminatori; dunque non è messo in dubbio il suo diritto di agire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni anche nei confronti del Comune.

Ciò, però, non basta per ottenere il risarcimento. Perché, secondo le regole della responsabilità civile (art. 2043 c.c.), il soggetto che si ritiene danneggiato, oltre al fatto illecito (la presenza o mancata rimozione di barriere architettoniche) ha anche l’onere di provare il danno subito e, passaggio fondamentale, il rapporto causale tra il fatto illecito e il danno lamentato.

E’ questo il passaggio che manca nel caso in esame. Per la Cassazione, non è stata fornita la prova che l’azione amministrativa del Comune sia stata la causa (o la concausa) dei danni subiti dal disabile. I giudici mettono in fila i fatti:

L’acquisto dell’immobile nel 2000, con atto nel quale era indicata la presenza delle barriere architettoniche e che l’impegno ad eliminarle;
Rilascio da parte del Comune di concessione edilizia (nel 2003) e di permesso di agibilità (nel 2007), malgrado la presenza e mancata rimozione delle barriere architettoniche;
Condanna del Comune (insieme alla ditta costruttrice) perché avrebbe legittimato l’operato della ditta e favorito i comportamenti discriminatori.
In realtà, il Comune non era tenuto a nessun intervento diretto volto all’abbattimento delle barriere architettoniche. Non ci sono dunque gli elementi per qualificare la condotta amministrativa dell’ente come “discriminazione indiretta” punita dall’art. 2 della L. n. 67/2006.

In realtà – spiega la Cassazione – il comportamento discriminatorio illegittimo (la realizzazione e la mancata eliminazione delle barriere) non è stato posto in essere dal Comune mediante l’adozione degli atti amministrativi in questione, bensì anni prima dalla ditta costruttrice. Inoltre, non risulta provato lo svantaggio che sarebbe conseguito al disabile – rispetto alla situazione preesistente – a seguito dell’adozione degli atti amministrativi.

Insomma, non è possibile ravvisare un concorso di colpa del Comune. La condotta discriminatoria è stata attuata anni prima da altri soggetti, i soci della ditta costruttrice.

Giuseppe Donato Nuzzo

(FONTE: Teknoring.com)

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